Da Corriere.it di oggi.
QUEI CAMPIONI SENZA VALORE
Le vittorie e le imprese condannate ad avere soltanto due settimane di vita.
Marco Galiazzo (Omega) L'Olimpiade è il regno incontrastato delle cicale. E al loro canto estivo corrisponde il controcanto della stampa. Storie che da qui a quattro anni non racconteremo più, o, come è successo prima di questa Olimpiade ritroveremo brevemente. Esempi. Marco Galiazzo, il suo cappello da scout in libera uscita, il suo arco micidiale, hanno travolto la fantasia popolare ad Atene quando vinse l'oro. Dopo niente. Lo siamo andati a ripescare prima di Pechino e, ora che non si è ripetuto, difficilmente lo cercheremo nei pressi di Londra.
Le storie sommerse hanno varie tipologie. Ci sono quelle italiane che andiamo a spulciare nei pressi dell'Olimpiade, come Wenling Tan Monfardini che, venendo da Liaoling nel Nord-Est cinese e giocando a ping pong qui è stata molto raccontata. O come l'unica (e prima italiana) nel torneo di badminton, Agnese Allegrini che vive e si allena in Danimarca e che ritornerà nell'anonimato in cui vive questo sport in Italia. E se qualcuno conosceva i pugili Roberto Cammarelle, Clemente Russo e Vincenzo Picardi, alzi la mano. E la alzi chi, a parte gli affezionati del taekwondo, immaginava l'esistenza di Mauro Sarmiento, concittadino di Picardi (sono entrambi di Casoria) e medaglia d'argento nell'arte marziale coreana.
Natalie Du Toit (LaPresse) Ci sono gli italiani, che acquistano dignità e spazi olimpici con le medaglie, e ci sono gli stranieri con qualità particolari. Natalie Du Toit è la prima amputata a competere in una gara olimpica. L'abbiamo celebrata prima e poi, spietatamente, visto che non si è «piazzata», abbandonata al suo destino. Ma Natalie ce la troveremo ancora lungo la strada. Difficile che torneremo a parlare di Mohammad Alirezaei, ranista iraniano che ha accusato un'appendicite «diplomatica» e guarda caso ha saltato la batteria dove c'era un nuotatore israeliano. Ha avuto qualche spazio perfino Abhinav Bindra, l'indiano che ha conquistato il primo oro individuale (nella carabina 10 metri) per il suo Paese in 108 anni di storia olimpica. Arrivederci e grazie.
Come dei sogni della nazionale islandese di pallamano (formata praticamente un abitante su due dell'isola), celebrata per la finale raggiunta e la possibilità, anche in questo caso, di conquistare il primo oro per l'Islanda che, comunque pareggiava il miglior risultato, l'argento nel salto triplo nel 1956. La sconfitta con la Francia la consegna all'oblio. Quindi, Islanda adieu.
La giavellottista paraguaiana Leryn Franco (Afp) A muoverci sono sentimenti contrastanti. La commozione (o un certo gusto per la cronaca nera) per Hugh McCutcheon, il c.t. della squadra di volley Usa, che ha dedicato la medaglia d'oro al suocero, Todd Bachman, assassinato alla Torre del Tamburo da uno squilibrato che poi si è tolto la vita. Il suo successo è diventato una «storia» per via della cronaca nera. E allora non può mancare il risvolto della cronaca nera, cioè quella rosa. Un giorno, così, dal niente (o dal tutto, guardandola) è esplosa nelle nostre vite la bellissima paraguaiana Leryn Franco, miss giavellotto. Nessuno di noi sa chi ha vinto la gara, ma tutti conosciamo a memoria il suo portfolio da modella. A nessuno importa che sia arrivata 25ª su 27 nel suo gruppo e praticamente sia venuta solo per partecipare. È diventata una protagonista dell'Olimpiade, dove, per avere spazio non conta solo vincere, ma essere «una storia» che ha cantato una sola, breve ma intensa estate.
Roberto Perrone
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