mercoledì 27 maggio 2015

"Il 30% dei nostri lettori non acquista il giornale perché lo legge al bar. Per arginare questo fenomeno ritengo sia ormai improcrastinabile una regolamentazione della lettura selvaggia attraverso la creazione di regole che definiscano degli abbonamenti per la lettura nei locali pubblici, sull’esempio delle reti televisive a pagamento".

Andrea Monti Riffeser, AD Poligrafici editoriale. 


Personalmente il concetto di "lettura selvaggia" al bar mi stuzzica: ogni giorno vedo frotte di trogloditi vestiti di pelli entrare nei locali, consumare un caffè mescolandolo con il dito senza usare educatamente il cucchiaino e quindi chiedere con suoni guttturali "La Gazzetta del Cavernicolo" o cos'altro. Sono affascinanti. Poi, mentre li contemplo mettersi anche le dita nel naso nel frattempo, mi chiedo cosa sia il giornalismo, e di chi sia a servizio. Del pubblico, mi hanno insegnato. Del lettore. Che tramite essi si può fare un'idea di quel che accade nel mondo, partecipare alla vita pubblica e - perché no - innalzare anche un poco il suo livello culturale. Anche al bar. Anche nelle sale d'aspetto delle stazioni o degli ospedali. Anche sui treni o sui tram, dove a volte legge selvaggiamente pile di quotidiani lasciati selvaggiamente in omaggio da grandi case editoriali che gonfiano così i dati di diffusione dei quotidiani stessi per far pagare di più la pubblicità che vendono (tanto comunque paghiam noi).

Così mi immagino le fasce deboli della popolazione, gli immigrati, i poveri, gli anziani con la pensione minima giungere ogni giorno, nel loro errare per la savana a caccia di cibo, al bar più vicino, e finalmente informarsi. Perdere del tempo (o dedicare, mettere a frutto del tempo?) a conoscere la vita della Nazione in cui vivono e quella della città in cui abitano. Crescere. Integrarsi. Quanto vale questo? E mi chiedo: "Come "arginare questo fenomeno"?". Come porvi dei limiti? E ancora mi domando: è giusto che chi non può accedere altrimenti a queste informazioni non abbia diritto a raggiungerle, in qualche modo? Conoscere lo scandalo della Cricca del giorno? Sapere se il candidato che voterà domenica sia onesto o coinvolto nel malaffare? Sapere cosa fa il Comune, o leggere le offerte di lavoro del lunedì per vedere dove spedire l'ennesimo cv e ricominciare a sperare? Se non lo trovassi al bar lo compreresti comunque il quotidiano profugo Hamid, pensionato Enzo, disoccupato Carlo? Lo compreresti, "lettore selvaggio"? Rinuncerei a far conoscere a te i miei pezzi, "lettore selvaggio", perché non ti puoi permettere di leggerli?

Poi mi ciuccio il dito dalla schiuma, sorrido, scendo dalla sedia, lascio un euro nel piattino e riparto. Stasera sarà meglio che trovi una gazzella da portare a casa per cena, o mia moglie chi la sente più?

lunedì 25 maggio 2015

"Papà, perché non scendi?"


Tutte le proteste hanno un simbolo. E per me oggi al San Matteo è stata una bambina di 2, forse 3 anni con il vestitino rosa, che dal basso, a fianco della mamma e della Polizia, chiamava il papà arrampicato su un tetto perché scendesse da lei. "Papà, scendi!", diceva. "Papà non può, amore - rispondeva da sopra il papà, con voce a metà tra il tono deciso delle grandi occasioni e il titubante, quasi tremolo -. Papà non può, adesso". "Perché non scendi?", insisteva la figlia. "Papà non può, amore". "Perché?".

Ma come fai a spiegare a tua figlia, che ti vuole lì accanto a lei per andare a pranzo come sempre, che sei a guardarla da un tetto perché vuoi difendere il tuo lavoro e il tuo salario (che vogliono tagliare del 20%)? Come fai a spiegarle che stai lì in alto sotto il sole proprio perché quel pranzo di ogni giorno vuoi continuare a garantirglielo? Come fai a spiegarle che non scendi per giocare con lei perché oggi stai giocando in giochi molto più grandi di te, dove sei solo una casella alla voce "tagliare" e poco altro?. E' dura, impossibile gridando da 10 metri di altezza: e infatti papà non ce l'ha fatta, a spiegarlo. Dopo pochi minuti la bimba è andata via piangendo, accompagnata dalla mamma, e chiedendo a lei perché il papà cattivo non volesse venire da lei nonostante le sue chiamate.

Da papà a papà però, operaio sul tetto, posso dire che ti capisco, e - chiamatela sedizione, o umana comprensione, o quel che volete - un po' ti ammiro. E spero che tu riesca a vedere e salvare questa foto, e mostrarla a tua figlia un domani, quando potrà capire. Perché possa rimpiazzare i pianti di oggi con i suoi sorrisi di domani, quando vedendo questa foto anziché pensare "papà non è sceso" possa dire orgogliosa ai compagni e agli amici "Quello in alto è il mio papà. Che non è sceso, e l'ha fatto per me".

sabato 10 gennaio 2015

Charlie, le matite e il Corano

"Difendiamo il senso dello humour, della libertà di espressione, ma difendiamo soprattutto la laicità, perché è proprio questa che è stata attaccata. Non dimentichiamolo e non vediamo la laicità come un concetto astratto. Al contrario, credo che oggi la laicità sia il valore più importante della Repubblica, perché senza di essa principi come la libertà, l'uguaglianza, la fraternità non sarebbero possibili".

Gerard Biard, caporedattore Charlie Hebdo, sopravvissuto alla strage.

"Certamente il Papa fa bene a dialogare con l'Islam, al contrario di quanto pensa Salvini. Ma dialogare non significa avere gli occhi chiusi, e l'accettazione dei costumi altrui deve avere come premessa la fermissima difesa dei nostri. Anche chi è laico, dovrebbe sostenere la presenza di crocefissi e presepi nelle scuole come presidio di una tradizione che non può scomparire. I musulmani moderati sanno sui loro fratelli radicali e violenti molto più di quello che dicono. Anche da loro dobbimo esigere un salto di qualità nella collaborazione.[...] Prepariamoci dunque fin d'ora a non lasciarci prendere dal panico e a difendere con forza la nostra storia e le nostre radici cristiane. E ai msulmani moderati diciamo: grazie per le condiglianze, ma ci serve qualcosa di più".

Bruno Vespa, conduttore tv e direttore QN, dall'editoriale di oggi in prima pagina.

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Non credo che Bruno sia Charlie. Almeno, non credo che sia Charlie così come Charlie stesso si vede. E così come lui tanti altri, più o meno in buona fede. 

Forse lo sarà, e lo saremo tutti noi, quando saremo abbastanza avanzati da capire che il modo migliore per stroncare alla nascita il terrorismo non sia arroccarci nella difesa delle nostre tradizioni, ponendo sullo stesso piano la sagra del salame d'oca del paesino o la ricetta del popettone della nonna (tradizionalissimi anch'essi) e la nascita di Gesù, ma portare le matite e il Corano nelle scuole per far conoscere davvero ciò che raccontano ai nostri figli. Il Corano, così come la Bibbia o i testi dell'induismo e di tutte le altre religioni che chiederanno di conoscere. Solo così si può avviare, credo, un'integrazione vera che non offra terreno fertile al fondamentalismo, di qualsiasi genere. Non con muri, torri d'avorio e chiusure, ma con mani tese, menti aperte e reciproca comprensione. Per scoprire che volendo Cristo si può chiamare anche عيسى ﺑﻦ ﻣﺮﻳﻢ, o ʿĪsā ibn Maryam. E' la stessa persona.

"Oggi penso a Hamed (l'agente ucciso dai terroristi, musulmano anch'esso. ndr) - scrive il maestro Alex Corlazzoli sul suo blog -. Voglio che il padre di questo mio alunno possa avere un luogo di culto anche dopo ciò che è accaduto in Francia. Desidero pensare che Hamed possa prendere l’autobus senza che venga guardato come se fosse un terrorista. Amo pensare che sua madre possa portare il velo con la stessa libertà con la quale la mamma di Michael porta il perizoma e la minigonna. Voglio dire a Giorgio, a Sara, a Luca che 15 milioni di musulmani vivono in occidente senza ammazzare nessuno".

E' il pensiero che mi è piaciuto di più di tutto quello che ho letto su giornali ed internet oggi.

Scusate la dilungazione. Ogni tanto mi indigno quando leggo certe cose, e mi sento un po' Charlie anch'io.
A modo mio.
Forse, un pochino, anche a modo suo.

(Le foto le ho scattate oggi alla manifestazione di oggi "Je sui Charlie" tenutasi in Piazza della Vittoria a Pavia in ricordo delle vittime del terrorismo in Francia. Le trovate sul sito de "Il Giorno", spero)

venerdì 9 gennaio 2015

Oggi sono

Oggi sono Charlie, ferito per difendere la libertà di espressione.

Oggi sono Ahmed, il poliziotto ucciso per difendere (anche) Charlie.

Oggi sono Ibra, picchiato e spintonato dalla folla per aver difeso una turista a Napoli da uno scippo.

Oggi sono Marco, ferito al volto per difendere un omicida dai parenti della sua vittima e permettere il suo processo.

Oggi sono Jean Claude, clochard pestato per non aver avuto da consegnare la sigaretta che 4 giovani gli chiedevano.

Oggi sono Michele, che è Caparezza, che a sua volta è Luigi delle Bicocche, che a sua volta è il precario italiano intento a tentare ogni via per portare il pane alla propria famiglia.

Oggi sono e posso essere tante storie, tanti volti, tanti gesti e tanti ideali.

Tante storie che tutti conoscono, e quelle che invece conoscono in pochi.

Sono una sfaccettatura di questo caledoscopio variegato che si chiama vita.

Con le sue gioie, i suoi dolori, le sue meraviglie, i suoi orrori, le sue polemiche e le sue (in)certezze. 

Di sicuro, pur essendo (ancora) un giornalista, non sono questo.




(Per chi è curioso, tutte le storie citate sono vere. Provate a cercarle...)