mercoledì 27 gennaio 2010

Pausa pranzo con "extra" piccante: l'offerta anticrisi delle prostitute di Arluno.

Pausa pranzo con "piccante" extra a prezzi concorrenziali. Ad offrirla ad Arluno (provincia di Milano) erano sette prostitute rumene che sono finite denunciate dai carabinieri della Compagnia di Legnano. Accanto alle borsette durante la perquisizione i carabinieri hanno scoperto uno scatolone con panini, bibite bottigliette di vino, ed è saltata così fuori l'inedita ricetta "anticrisi". I prezzi? Circa 40 euro, "servizio" incluso: una proposta più che concorrenziale nel mercato del sesso a pagamento.

Ecco qui sotto il servizio (manco a dirlo) di Studio Aperto sul fatto:



Poi dicono che in tempo di crisi non si sa più cosa inventare....

lunedì 25 gennaio 2010

Clandestinità: 5 mesi dopo, a pagare per il nuovo reato è solo lo Stato.

Era il 2 luglio 2009 quando il Senato approvava il decreto legge sulla sicurezza che introduceva tra le altre cose il reato di clandestinità, che doveva servire nelle intenzioni dei legislatori a permettere un rapido processo, appena 15 giorni, che portasse all’espulsione diretta dei clandestini dal territorio nazionale. Il reato è poi diventato di competenza del giudice di pace, entrando definitivamente in vigore l’8 agosto 2009. Ma vi siete mai chiesti a cosa abbia portato effettivamente in questi 5 mesi l'introduzione di questo nuovo reato?

Sono andato a curiosare nell'ufficio del giudice di pace di Pavia, competente per i processi intentati per il solo reato di Clandestinità (non cioè quando la clandestinità è riconosciuta solo come aggravante di un altro reato, dal furto a qualsiasi altra cosa), e questa è la mini inchiesta che ne è venuta fuori.

Che svela come tutto sia in realtà rimasto come prima, tranne sotto il versante finanziario dove le c
ose sono addirittura peggiorate, e non di poco. Perchè il totale dei costi da pagare è cresciuto, ma solo per lo Stato: e a pagare in realtà non sono i clandestini, ma tutti noi.

Ecco a voi la video inchiesta:
"Clandestinità: col nuovo reato paga solo lo Stato"

Era il 2 luglio 2009 quando il Senato approvava il decreto legge sulla sicurezza che introduceva tra le altre cose il reato di clandestinità, che doveva servire nelle intenzioni dei legislatori a permettere un rapido processo, appena 15 giorni, che portasse all’espulsione diretta dei clandestini dal territorio nazionale. Il reato è poi diventato di competenza del giudice di pace, entrando definitivamente in vigore l’8 agosto 2009. Ma a cosa ha portato in concerto questo provvedimento in 5 mesi di vita?

Siamo andati a vedere la situazione a Pavia, entrando nelle stanze del giudice di pace coordinatore Francesca Miceli. “I procedimenti in cui è stato contestato il solo reato di clandestinità - racconta il giudice - escludendo quelli in cui la clandestinità era solo un’aggravante di un altro reato, sono stati in questo periodo circa una settantina, tutti conclusi con condanne ad una pena pecuniaria variabile dai 5 ai 10 mila euro. Con soldi effettivamente incassati: zero. Di espulsione invece c’è n’è stata solo una: l’unica altra chiesta con forza addirittura dall’imputato stesso è stata negata. Il ragazzo, che chiedeva di rientrare in Russia, era infatti di nazionalità cecena, ed i giudici hanno ritenuto non prudente rimandarlo in patria. In compenso a sborsare soldi è sempre lo Stato. Gli accusati del reato infatti molto spesso non possono permettersi un avvocato, che gli viene così assegnato d’ufficio.

A pagare la parcella è così lo Stato. “L’unica parcella che ho visto – racconta la Miceli – è quello di un avvocato che per una processo conclusosi in una sola udienza ha chiesto 150 euro di onorario. Ma si può anche salire”. I processi infatti, che dovrebbero durare al massimo 15 giorni, spesso ritardano: gli imputati, che possono essere trattenuti massimo 24 ore dalle forze di polizia per l’identificazione, appena rilasciati fanno in genere perdere le loro tracce, e tantomeno si presentano al processo a loro carico, che per legge parte comunque. Ad essere convocati come testimoni spesso sono i poliziotti che hanno compiuto l’arresto, che a volte non si presentano per altri impegni causando così lo slittamento delle udienze che finiscono per sovrapporsi agli altri procedimenti penali in corso generando il caos.

I 4 giudici di pace di Pavia, su un organico che invece dovrebbe contarne 10 per coprire un’area di circa 42 paesi in provincia di Pavia ed altri 8 nel basso milanese, oberati di lavoro hanno infatti dovuto stabilire un turno appositamente dedicato a questi processi ogni 15 giorni. Se qualcosa ritarda, esce dal turno infilandosi nel mare magnum degli altri processi.

“La cosa si gestisce – spiega la Miceli - ma certo non è semplice”. A tutto questo va sommato il costo della macchina giudiziaria, che ovviamente ricade anch’essa sul costo per lo stato.

Tirando le somme: se l’intenzione del legislatore era quella di spaventare i clandestini italiani con l’effetto annuncio, il reato di clandestinità è stato un successo. Se invece era quella di favorire le espulsioni dopo processi veloci che condannassero gli stessi a pene esemplari, il flop è stato totale. In un gigantesco effetto boomerag, infatti, a pagere fino ad ora è stato solo lo Stato.

giovedì 21 gennaio 2010

Almeno la buona volontà non manca...

L'italiano non c'è, ma la buona volontà non manca... :)


Per la cronaca, il tutto arriva da questo gruppo di Facebook qui:

Padova: il controllore del bus controlla solo i neri, ma indovinate chi era senza biglietto...?

Alla faccia di chi pensa che siano solo gli immigrati a compiere reati: guardate cos'è successo in questo autobus a Padova, dove un controllore - evidentemente anche lui di questo pensiero - ha deciso durante un controllo di chiedere i titoli di viaggio solo ai passeggeri di colore, ignorando tutti gli altri. Gli immigrati ovviamente hanno protestato (visto che tra l'altro avevano tutti il biglietto in regola) e, assieme agli altri passeggeri, hanno preteso che il controllo si estendesse a tutte le persone a bordo.

..indovinate com'è finita e chi alla fine è stato trovato senza biglietto?

Leggetevi l'articolo sotto (da dirittiglobali.it) e lo saprete...

PADOVA - Un controllo "chirurgico", quello compiuto dal conducente dell´autobus numero 12 che collega il centro storico all´hinterland: durante una fermata notturna, l´addetto della società di trasporto Aps si è rivolto esclusivamente ai passeggeri di colore, chiedendo loro di esibire il biglietto e ignorando platealmente tutti gli altri, nonostante, pochi minuti prima, fosse salito a bordo un gruppo di ragazze e ragazzi visibilmente alticci.

È stata questa la scintilla che ha acceso la protesta dei pendolari africani, una decina in tutto: «Devi controllare tutti, non solo noi neri. Altrimenti sei un razzista», hanno intimato all´autista, circondandolo ed esibendo polemicamente gli abbonamenti al bus. L´addetto ha cercato di opporsi: «Spetta a me decidere i criteri del controllo a campione»; ma gli immigrati hanno cominciato a urlargli contro: «Razzista, razzista. Anche noi paghiamo le tasse». Grida, insulti, accuse di xenofobia: il braccio di ferro è durato quasi un quarto d´ora, con l´autobus bloccato lungo la Riviera Ponti Romani (l´asse centrale della città) e molti passeggeri - bianchi - che sollecitavano, a loro volta, un controllo completo perché la corsa potesse riprendere.

Alla fine, il conducente ha dovuto cedere: a verifica compiuta, tre adolescenti venete sono risultate prive di biglietto e costrette a scendere all´istante - irritatissime - perché lo acquistassero al vicino distributore automatico. Un epilogo salutato dal polemico applauso dei contestatori.

Non è il primo caso di sospetto razzismo sugli autobus. È successo che qualche conducente abbia tirato dritto quando alla fermata c´erano persone di colore. Ma anche che alcuni stranieri senza biglietto, abbiano reagito con violenza. Così il personale Aps ha chiesto e ottenuto la presenza di alcune guardie private a bordo.

A parte il fatto che la descrizione delle ragazze "irritatissime" per essere state costrette ad acquistare il biglietto (come avrebbero dovuto fare fin dall'inizio) fa quantomeno ridere, la vogliamo smettere ora con gli sterotipi - anche razzisti - e cominciare finalmente a pensare con la nostra testa?!?

mercoledì 20 gennaio 2010

Quante dita ci sono in 10 mani Silvio?!?

Silvio Berlusconi in visita all'Aquila inaugura una scuola nel capoluogo, e scherza coi bambini. Ma attenzione alla risposta: quante dita ci sono in dieci mani dottor Berlusconi?



Il dubbio è...scherzava o no?

(video courtesy of Youreporter.it)

giovedì 7 gennaio 2010

Marino: vivere sulla strada (e rischiare di morire bruciato) a Venezia

Come Luciano, il clochard di Pavia di cui vi avevo già raccontato nel blog, anche lui ha rischiato di morire bruciato per colpa del gesto insensato di ragazzi ancora ignoti. Come lui, per fortuna, è riuscito a salvarsi. A differenza di Luciano, la sua storia è riuscita anche ad arrivare sui grandi media nazionali, e spero vivamente che questo possa servirgli per rendere la propria vita un po' migliore. Storia di Marino, il clochard 61enne di Venezia (dal sito web de "La Nuova" di Venezia)

Bruciato giaciglio del Clochard: ho temuto per le mie cose"

"Avevo paura che tutto prendesse fuoco e non potevo fare granché. So che potrebbero rifarlo". Intervista a Marino, il senzatetto di 61 anni vittima dell'aggressione di domenica notte: un gruppo di minori ha incendiato il giaciglio dove dorme vicino alla chiesa dei Frari. "Sono un veneziano doc, ex portiere d'albergo. Ora sogno una stanza per me"

«Continuano ad intervistarmi, sono diventato famoso; mi dispiace purtroppo per Venezia, la mia città. La gente mi vuole bene e questo mi basta. Prima un vicino mi ha portato un panettone e mia sorella è passata a salutarmi».

Verso sera Marino, sessantun anni compiuti il 9 dicembre, è tranquillo, dopo una giornata di trambusto. Ricorda l’aggressione subita la scorsa domenica: «Erano le 23,30. Ero sveglio. Ero nella corte in piedi, stavo camminando intorno. Improvvisamente sono arrivati cinque o sei ragazzi, hanno gettato della carta accesa sui cartoni e sono scappati. Non ho ricevuto minacce. Mi sono avvicinato al mio giaciglio e ho tolto le carte e i sacchetti di nylon del supermercato. Un vicino ha visto la scena e ha gridato contro gli aggressori. C’era fumo. Avevo paura che tutto prendesse fuoco e non potevo fare granché. So che potrebbero rifarlo». Marino si ferma, pensa, riprende il racconto: «Adesso vado a fare un giretto, poi come ogni sera farò parole enigmistiche».

Marino si definisce «veneziano doc». La mamma era della Maddalena, sestiere di Cannaregio, il papà dei Biri, sestiere di Castello. Da piccolo ha frequentato la scuola elementare Diedo e la scuola media serale all’istituto Zambler. «Ho due fratelli, Adriano e Graziella, e nipoti». Da giovane Marino abitava in campo Widmann, poi arriva lo sfratto. Il suo primo giaciglio lo allestisce vicino a campo San Polo, poi nel 2002 si trasferisce nella corte privata Badoera, ai Frari. Passa le giornate camminando in città, non usa il vaporetto, raramente supera il ponte della Libertà: «Per trascorrere la giornata talvolta mi reco ai supermercati di Mestre. Molto tempo lo passo facendo parole crociate. Non ho scelto io di fare il barbone. Ora tiro avanti così, ma nella mia vita ho lavorato».

Marino ha esercitato l’attività di fattorino e di portiere di notte all’a lbergo Gabrieli, lungo Riva Sette Martiri: «Mi trovavo davvero bene». Di lui si interessa la sorella: «So che lei ha fatto la domanda in Comune per una casa. Fino ad oggi non ho ricevuto alcuna risposta. Mi è stato offerto di andare in dormitorio. Sono stato ospitato a Casa Betlemme della Caritas, ma là c’è sempre qualcuno che mi dà fastidio. Vorrei una stanzetta tutta per me. Qui fa freddo anche se ho quattro coperte». Cinque anni fa Marino fu sgombrato dal suo giaciglio da personale del Comune, ma dopo tre ore vi ritornò.

Ogni notte Marino continua a preparare il suo giaciglio in calle. Dapprima sistema un cartone, poi sopra vi appoggia una coperta. Si infila un berretto di lana e si copre con altre tre coperte.

Sorride e ripete: «Se però trovo una stanzetta, l’accetto, perché fa freddo». Non solo. Pochi giorni fa nel giaciglio di Marino è arrivata l’acqua alta. «E’ entrata di notte velocemente dal tombino, così ho alzato tutte le mie cose e mi sono infilato gli stivali. Li avevo appena comperati. Li tengo in una valigia. Ogni sera vengono a trovarmi quelli delle cooperative sociali. Mi portano caffè e tè. Magari mi portassero un croissant... Una volta sono arrivati con una coperta».

Il clochard vive rovistando nei bidoni della spazzatura e facendo piccole compere: «Mangio solo di giorno, panini con formaggio e prosciutto; alla sera una cena frugale. Raramente mi concedo una birra. Una volta sono andato a mangiare dalle suore alla Tana, vicino all’Arsenale. Poi non sono più passato. Non chiedo la carità, non mi serve. E’ giusto che la chieda chi non ha nulla. Mensilmente vado a ritirare la pensione, quattrocento euro. I soldi me li gestisce mia sorella Graziella che abita vicino al ponte delle Guglie». Conclude: «Se mi mettete in contatto con qualcuno, accetto una stanza. Mi piace questa città».

di Nadia De Lazzari

martedì 5 gennaio 2010

"I re magi del presepe? Assenti perchè bloccati alla frontiera"

Un'iniziativa - secondo me più che intelligente - della Caritas di Agrigento per sottolineare la delicata situazione in tema di immigrazione e respingimenti in Italia: ecco l'articolo completo da Repubblica.it:

"Si avvisa che quest'anno Gesù Bambino resterà senza regali: i Magi non arriveranno perché sono stati respinti alla frontiera insieme agli altri immigrati". C'è scritto questo su un cartello posto all'interno del presepe della Cattedrale di Agrigento alla vigilia dell'Epifania.

L'iniziativa è del direttore della Caritas di Valerio Landri con l'imprimatur dell'arcivescovo Francesco Montenegro che è stato presidente nazionale della Caritas. "E' stata un'iniziativa concordata con l'arcivescovo Francesco Montenegro - ha spiegato Valerio Landri - perché abbiamo ritenuto che si dovesse dare un segnale per far riflettere la comunità ecclesiale e civile.

Pensiamoci bene: oggi Gesù Bambino, se volesse venire da noi, probabilmente sarebbe respinto alla frontiera. Non abbiamo inteso fare polemica politica, siamo consapevoli che è necessaria una regolamentazione del fenomeno, ma siamo convinti che bisogna anche comprendere il perché questa gente fugge dal suo paese e bisogna dunque pensare all'accoglienza".

Landri ha raccontato anche delle diverse reazioni da parte della gente: "C'è chi ha plaudito alla nostra iniziativa ma anche chi si è lamentato sostenendo che abbiamo voluto sacrificare la tradizione alla problematica legata all'immigrazione. Noi pensiamo che la tradizione non possa essere anteposta ai diritti delle persone".