Trasparenza addio, sulle sovvenzioni di privati e aziende ai partiti cala di nuovo l’ombra. Ai tempi di Tangentopoli il reato di illecito finanziamento travolse la prima Repubblica? Bene, adesso il finanziamento è diventato lecito ma invisibile, praticamente occulto: sotto i 50 mila euro resta nascosto a norma di legge. È l’arma segreta di un esercito di uomini con la ventiquattr’ore che cinge d’assedio i palazzi del potere: si chiamano lobbisti, e bussano alle porte dei politici, ungendo ingranaggi dove più gli conviene. Quanto pesi veramente la loro opera di “seduzione” sulle decisioni del Parlamento è cosa ardua da capire.
Le liste tenute dalle Camere non sono soltanto difficili da consultare, ma nascondono la reale entità del fenomeno. Spulciando i bilanci 2007 delle formazioni politiche rappresentate in Parlamento, infatti, “L’espresso” ha individuato una “zona grigia”, formata dai fondi dei quali i tesorieri di partito non sono tenuti a render nota la provenienza. Qui si scopre che ben il 27 per cento dei contributi privati ai principali partiti italiani è perlopiù di origine ignota. Un limbo da 15 milioni di euro, insomma. Appena due, invece, i milioni di euro in finanziamenti “trasparenti” nello stesso anno. Se poi pensi che nel 2008 (che è stata annata di campagne elettorali) le cifre “alla luce del sole” sono quadruplicate, vien da chiedersi quanto sia cresciuta in proporzione la zona d’ombra.
Come funzioni il lobbismo sommerso ce lo spiega Franco Bonato, ex tesoriere di Rifondazione: «L’intento di celare la provenienza dei fondi diviene evidente quando si constata la facilità con cui il limite fissato per legge può essere aggirato. Se io, imprenditore, decido di dare 50 mila euro a un partito, ma preferisco che il mio contributo resti segreto, mi basterà versarne 49.999. Se ho intenzione di versarne più di 50 mila, e voglio sempre restare anonimo, mi basterà ripartire la somma fra i componenti della mia famiglia. Così io ne verserò una quota, mia moglie un’altra, mio figlio un’altra ancora e così via. Sono stratagemmi di uso comune per chi non vuole farsi notare», conclude.
Tutto grazie allo scorso governo Berlusconi. Agli inizi del 2006, poche righe inserite di soppiatto nel famoso Milleproroghe, a mo’ di sandwich fra una disposizione sull’8 per mille e un contributo a “Genova capitale europea della cultura 2004”, sono andate a innalzare la soglia di trasparenza dei fondi privati, al di sotto della quale è impossibile sapere chi-dà-quanto-a-chi. La cifra è schizzata dai circa 6.600 euro fissati nel lontano 1981 ai 50 mila di oggi. Venti volte tanto. Pure fra i banchi dell’opposizione se n’erano accorti in pochi: fra questi Pierluigi Castagnetti, allora deputato della Margherita, ora Pd. «Permettere che si elargiscano anonimamente cento milioni di vecchie lire», ribadisce oggi, «vuol dire che qui non si parla più di “finanziamento”, ma di semplice corruzione politica». Per i partiti come per i singoli parlamentari. Lo stesso accadeva nel medesimo periodo per il finanziamento privato a deputati e senatori, con una modifica voluta dai parlamentari della Casa delle libertà, e infilata con altrettanta destrezza in un testo di legge sul voto domiciliare. In questo caso la soglia è salita dai 6.500 euro a 20 mila e con una differenza non da poco: mentre la zona grigia dei partiti è calcolabile a partire dai loro bilanci, quella dei parlamentari no.
Il grigio, da noi, non è fatto solo di soldi che vanno da privati e lobbisti a partiti o singoli parlamentari. Fioccano i versamenti che per varie ragioni viaggiano da partito a partito (vedi box) o da politico a partito. Le liste della Camera sono piene di rappresentanti che finanziano la propria formazione. Come gli oltre 4 milioni di euro arrivati ai Ds dai propri deputati e senatori nel 2007, i circa 713 mila euro dei leghisti o i 281 mila euro dell’Idv, ma succede anche con An e Margherita, ed era tradizione consolidata fra quelli di Rifondazione. Se l’autofinanziamento attraverso i propri politici può avere un senso, però, qualche perplessità la suscitano i casi in cui è il gruppo parlamentare a rimpinguare le casse del suo partito coi finanziamenti pubblici che riceve da Camera e Senato. Soldi che in teoria servirebbero esclusivamente alle spese di gestione degli uffici, ma che si traducono in un ulteriore finanziamento pubblico indiretto. Vedi i 97 mila euro del gruppo alla Camera di An, ma vedi anche il mezzo milione di euro che nel 2007 i gruppi leghisti hanno girato a via Bellerio.
Se a tutto ciò aggiungi il fatto che, grazie a un vecchio cavillo tornato “utile” ai tempi di Internet, le liste dei finanziamenti privati non possono essere pubblicate on line, è evidente che in Italia lobbisti e lobbizzati godono di una comoda cortina di fumo. Che fa diventare sempre più opachi i rapporti fra il potere economico e quello politico.
Prendiamo Forza Italia. Il confronto fra i contributi sopra i 50 mila euro ricevuti negli ultimi due anni fa riflettere: nel 2007, quando era all’opposizione, è stata corteggiata dai lobbisti con 310 mila euro. Che però un anno dopo, conquistato palazzo Chigi, sono lievitati a quasi 2 milioni e mezzo. Tanti soldi, tanti favori da ricambiare? Una delle più folte pattuglie di sostenitori del Cavaliere sono i costruttori. A scendere in campo addirittura l’Associazione nazionale costruttori edili, con 50 mila euro che certo non staranno rendendo la vita più difficile al Piano Casa di Berlusconi. Insieme all’Ance i grandi costruttori privati, quelli che sugli appalti pubblici fanno la loro fortuna, a cominciare dall’Astaldi, passando per la Pizzarotti di Parma, per finire con il gruppo Gavio.
Proprio Marcellino Gavio è il maggior finanziatore forzista, con 650 mila euro in 13 assegni da 50 mila l’uno. Gavio è azionista dell’Impregilo, società capofila per la costruzione del ponte sullo Stretto: è notizia di qualche settimana fa che, dopo lo stop imposto da Prodi, la grande opera ripartirà presto. Ma l’imprenditore alessandrino è anche uno dei signori delle autostrade italiane, visto che gestisce chilometri e chilometri di asfalto, soprattutto al Nord (una su tutte la Torino-Milano). Non gli dispiacerà se dal primo maggio il ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli, ha aumentato i pedaggi. Non solo cemento. Il partito berlusconiano si nutre anche di acciaio, coi 300 mila euro dell’imprenditore cremonese Giovanni Arvedi. E un occhio di riguardo va alla salute: 200 mila vengono dalle cliniche, La Nuova Sanità srl di Bari, e Multimedica Holding spa di Milano.
Che per un partito andare al potere sia come un battesimo, con tanto di regali degli invitati, lo ha capito bene Raffaele Lombardo, padre-padrone dell’Mpa, che da quando è diventato governatore della Sicilia e alleato di governo della destra ha fatto l’en plein. Nel 2007 nessun contributo di peso, un anno dopo 665 mila euro. Primo fan del medico siciliano è Maurizio Zamparini, presidente del Palermo calcio, con due versamenti da 100 mila euro l’uno. E si capisce: i suoi interessi nell’isola sono molteplici, visto che nel capoluogo sta per costruire un grosso centro commerciale, e in più vorrebbe gestire il progetto di un nuovo stadio.
Va di magra, invece, a chi esce dalla stanza dei bottoni. È successo a Lamberto Dini, che quando risultava decisivo per le sorti del governo Prodi aveva ricevuto dall’imprenditore Davide Cincotti 295 mila euro. E ora che è intruppato nel Pdl gli tocca accontentarsi delle briciole (appena 100 mila). Idem per i Ds senesi. Quando il centrosinistra guidava il Paese, Giuseppe Mussari (capo del Monte Paschi) donava loro 162.500 euro, cifra che poi nel 2008 si è ridotta a meno della metà.
A volte lobbista e politico sono anime gemelle, altre una strana coppia. Come l’antiberlusconiano ante litteram, Antonio Di Pietro, che ha intascato 50 mila euro da Sei Tv, una società televisiva milanese. Dalla visura camerale salta fuori che la proprietaria è tale Tiziana Grilli, moglie di Raimondo Lagostena Bassi, reuccio delle tv locali grazie al circuito Odeon. Lagostena però è uomo che fa affari col Cavaliere (visto che mandava in onda la defunta Tv delle libertà della Brambilla), ed è anche editore di Telepadania (non a caso ha foraggiato anche la Lega con 60 mila euro). Allora con Di Pietro che c’azzecca?
Curioso pure il finanziamento di 60 mila euro alla campagna elettorale di Gianni Alemanno da parte della Snai, società di scommesse. Anche se in fondo al sindaco di Roma l’azzardo non dispiace, visto che da tempo preme per un casinò nella capitale. Ancora, c’è lo strano caso dell’onorevole Sergio De Gregorio, che invece di finanziare la propria televisione (Italiani nel mondo reti televisive”, società che gestisce una tv satellitare e web) riceve dalla stessa quasi 75 mila euro.
Infine c’è il finanziamento al partito che diventa “lessico famigliare”. Stiamo parlando dell’Udc di Pier Ferdinando Casini, che lo scorso anno ha potuto contare su 2.210.000 euro (seconda sola a Forza Italia), l’80 per cento dei quali proviene da un’unica fonte: l’immobiliarista Francesco Gaetano Caltagirone. Un bel po’ di soldi, ma spezzettati in 18 tranche da 100 mila, perché così il suocero ci ha anche risparmiato su. Esiste infatti una norma studiata ad hoc perché i partiti calamitino soldi dai privati: chi dona fino a 103 mila euro può scaricare dalle tasse il 19 per cento dell’importo, molto di più rispetto a un’associazione qualsiasi.
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