lunedì 7 aprile 2008

I Giochi, il Tibet, e i troppi silenzi all'ombra della fiaccola.

Vista la giornata, oggi potrei parlare o di Olimpiadi o di Politica o di cazzeggi vari... Ma siccome piuttosto che parlare di politica preferisco fare qualsiasi cosa (anche perchè alla fine dei fatti lo ritengo piuttosto inutile, e perchè mi viene ancora da pensare al camioncino del La Destra fermo ieri pomeriggio in Prato della Valle che per fare propaganda sparava nell'aria le musiche del Ventennio fascista...che tristezza...), e cazzeggio c'è sempre spazio per farlo, posto uno degli articoli più belli che abbia visto scritti fino ad ora sulle Olimpiadi.

Direttamente da Repubblica.it (chi è curioso può guardare direttamente qui) "Pechino, i Giochi e i diritti umani. Ora i reporter stranieri sono nemici", a firma del bravissimo Federico Rampini, corrispondente storico dall'Asia.

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PECHINO - E' bastato che la fiaccola olimpica toccasse il suolo europeo a Londra, per accendere proteste che continueranno oggi a Parigi, dilagheranno da San Francisco a New Delhi. Queste manifestazioni rivelano un turbamento profondo tra le opinioni pubbliche democratiche, un disagio che i governi occidentali non riescono a interpretare.

Abbiamo visto crescere la Cina come la nuova superpotenza dell'economia globale, l'abbiamo scoperta capace di esportare non solo prodotti e capitali ma anche influenza diplomatica, politica, perfino culturale. Quella parabola ha ispirato una certa ammirazione: per le centinaia di milioni di persone affrancate dalla miseria in pochi decenni; per l'efficienza di una classe dirigente capace di traghettare verso la modernità la nazione più popolosa del pianeta.

Sullo sfondo di una formidabile ascesa, restava in sospeso l'interrogativo drammatico sulla natura autoritaria del suo sistema politico, incompatibile con i valori universali dei diritti dell'uomo. Oggi l'avvicinarsi dei Giochi fa esplodere la contraddizione tra l'immenso peso della Cina nel mondo, e la sua pericolosa diversità, l'intransigenza con cui i suoi dirigenti rifiutano di imboccare la via delle riforme democratiche. Europei e americani sono sgomenti di fronte al mutismo dei loro governi perché dietro vi intuiscono un'impotenza, sospettano opportunismi e viltà.

Sono passate appena tre settimane dall'inizio della rivolta del Tibet, schiacciata dalla repressione cinese. Pochi giorni fa il regime di Pechino ha dato un'altra prova dei metodi con cui garantirà l'ordine durante i Giochi di agosto: ha condannato a tre anni e mezzo di carcere Hu Jia, l'attivista umanitario colpevole di aver difeso i malati di Aids, di battersi per la tutela dell'ambiente, per la libertà religiosa; un dissidente odiato dalle autorità per i suoi contatti con la stampa estera e il coraggio con cui usava Internet sfidando la censura.

Questo giro di vite contraddice gli impegni di liberalizzazione presi dalla Repubblica popolare quando ottenne l'assegnazione delle Olimpiadi, il 13 luglio 2001. Nessun governo occidentale finora ha trovato le parole per dirlo. Pochi giorni fa da un vertice dell'Unione europea è uscita una penosa cacofonia sul Tibet e i Giochi. La Francia ha peggiorato la confusione, dettando precise condizioni per la partecipazione di Sarkozy alla cerimonia inaugurale, che sono state smentite dopo poche ore.

Colpisce il silenzio dell'Occidente su un altro spettacolo preoccupante che va in scena a Pechino: il tiro al bersaglio contro la stampa straniera. Irrigidito per la tensione interna ed esterna che sente crescere all'avvicinarsi di agosto, esasperato per l'impatto mondiale della repressione in Tibet, il regime di Hu Jintao ha deciso di prendere di mira chi diffonde le notizie sgradite. Dopo aver sigillato il Tibet e perfino regioni limitrofe come il Sichuan, vietando l'accesso ai giornalisti stranieri; dopo aver blindato l'informazione interna con la propaganda, ora il governo dirige una virulenta campagna contro la stampa estera accusata di pregiudizi, distorsioni e manipolazioni.

L'operazione è partita in sordina, con la denuncia di errori in alcune immagini diffuse da Cnn e Bbc. Poi sono sbocciati dei siti Internet animati da cittadini-vigilantes a caccia di disinformazione: uno di questi si chiama www. anti-cnn. com. In un paese che ha ormai più utenti online dell'America (230 milioni), e dove 30.000 informatici lavorano a tempo pieno per censurare il web, il principale portale nazionale Sina. com ha lanciato una petizione popolare per condannare i "pregiudizi" dei mass media stranieri: fino a ieri aveva raccolto 1.140.000 firme (secondo dati del governo, naturalmente incontrollabili).

Il principale giornale nazionale, il Quotidiano del Popolo, ha un forum online dove i lettori autorizzati inseriscono commenti di questo tenore: "A Lhasa sono stati commessi crimini violenti ma i mass media occidentali ne hanno dato versioni false e tendenziose". "I cinesi sono indignati, la stampa estera deve vergognarsi". Dalle denunce generiche si è passati alle intimidazioni personali. Alcuni corrispondenti americani hanno ricevuto centinaia di telefonate e sms anonimi con minacce di morte estese ai familiari. Gli autori sono "gruppi nazionalisti" non meglio identificati. Due giornalisti occidentali si sono dovuti trasferire per precauzione da Pechino a Hong Kong.

Dietro questo crescendo di ostilità c'è una regìa inequivocabile. Il governo non ha neppure cercato di nascondere il suo ruolo: il sito ufficiale delle forze armate ha pubblicato un lungo elenco di giornalisti stranieri con le loro coordinate personali, dal numero di cellulare all'indirizzo di casa. La caccia alle streghe riecheggia in modo sinistro certe pagine di storia del maoismo. A quattro mesi dalle Olimpiadi per le quali aveva promesso libertà d'azione ai mezzi d'informazione, Pechino sta orchestrando con le risorse dello Stato un linciaggio virtuale dei mass media stranieri.

Se avvenisse in un paese meno importante i governi occidentali avrebbero già reagito. In questo caso invece dall'America all'Europa il silenzio è assordante. E i nostri comitati olimpici nazionali, riuniti proprio in queste ore a Pechino, fanno finta di non vedere nulla. Il realismo che deve guidare le diplomazie non ci impone di calpestare i valori su cui sono fondate le nostre democrazie. Visto che queste Olimpiadi si terranno, è ancora possibile riscuotere dai dirigenti cinesi un pedaggio, per la vetrina nazionalista che si sono conquistati. Se George Bush e i leader europei vogliono essere a Pechino l'8 agosto, almeno non si limitino ad apparire in tribuna d'onore alla cerimonia inaugurale. Che chiedano di andare anche dove a noi è vietato: a Lhasa.

Federico Rampini

3 commenti:

Eleonora Voltolina ha detto...

Caro Gig
mi sono letta tutta d'un fiato il pezzo del grande Rampini e ti voglio ringraziare per averlo pubblicato, è un articolo che tutti dovrebbero leggere. Sopratutto gli occidentali. Sopratutto i giornalisti. Perchè troppo spesso diamo per scontata la libertà che ci viene data, il libero accesso a Internet, la possibilità di scrivere quel che vogliamo sui blog, sui giornali.
Sono allibita dal fatto che la campagna di intimidazione contro i giornalisti stranieri venga compiuta dal governo cinese alla luce del sole, e che addirittura sul sito ufficiale delle forze armate appaia l'orribile "Lista Nera" dei giornalisti con tutti i dati sensibili per poterli infastidire, intimidire, disturbare, e nel peggiore dei casi anche colpire.
Il silenzio dei governi europei e americani è davvero assordante.
Noi rimaniamo qui, spettatori impotenti. E' frustrante.

Eleonora
http://www.repubblicadeglistagisti.blogspot.com/

Unknown ha detto...

Il Tibet è ormai Cina a tutti gli effetti. Fatti un giro e scoprirai gli orribili palazzoni cinesi ricoperti con le mattonelle bianche del cesso, cinesi Han in ognidove e tutto un mondo che è stato importato con la forza dalla "pacifica annessione" di oltre mezzo secolo fa.

Tutta questa è ormai storia passata, il Tibet che esisteva allora è stato quasi del tutto cancellato, il poco che rimane è fatto di religione, e quella - come il cristianesimo - avrà da trovare altri poteri oltre a quello temporale (vedi lo Stato della Chiesa nel corso della storia).

Non sono a favore della Cina, ma neanche mi butto a pesce su un "Free Tibet" abusato in ogni sua forma, senza senso ormai per i migliaiai di dissidenti che cavalcano l'onda mediatica e contribuiscono a buttare altra merda sulla Cina arrapati dal polverone. Senz'altro gliene stiamo già buttando addosso più di quanta se ne merita.

Fossi in loro, brucerei le bandiere tibetane che non hanno (e non abbiamo) avuto il coraggio di sventolare qualche anno fà, comprerei un biglietto per qualche gara alle olimpiadi e mi godrei in santa pace uno degli eventi sportivi più importanti della storia. In silenzio, a testa bassa, come ci meritiamo di fare.

Perchè potremo tirare in ballo ogni cazzata o verità riguardo questo immenso Paese, insultare e criticare un governo che decide la condotta di oggi sugli errori del passato, ma non possiamo e non dobbiamo permetterci di INSEGNARE ai cinesi come devono governare il loro Paese, qualunque sia il loro "Governo", qualunque sia la loro situazione politica.
Non ora, quando i giochi stanno per iniziare e tutto è quasi pronto - semplicemente - perchè GLIELO ABBIAMO LASCIATO FARE.
Sono sette anni che sappiamo quale sarà la sede delle olimpiadi estive del 2008, ma solo ora, grazie ad una protesta trapelata dai confini nazionali, abbiamo la faccia tosta di ribellarci con tutta la nostra ipocrisia ad un teatrino internazionale di cui tutti siamo complici, protagonisti e comparse.

Gig ha detto...

Fare un giro in Tibet mi piacerebbe. Sul serio, se avessi due soldi in tasca ora come ora ci andrei. Anzi, se hai due foto disponibili e fresche ti invito a mandarmele perchè mi piacerebbe pubblicarle qui...

Quello che dici Michele è giusto: fino ad ora nessuno ha fatto niente, pur conoscendo la verità di una nazione un tempo libera annessa con la volontà pacifica di una canna di un fucile.

Però per me non è comunque per questo che ora si deve stare zitti. La Cina, al momento dell'assegnazione delle Olimpiadi firmò un documento con cui si impegnò a migliorare la situazione del rispetto dei diritti umani all'interno del suo Paese, o di quello che considerà tale. Lettera mcompletamente disattesa, come si vede da tutto quello (poco) che filtra dai confini.

E' stata una cazzata bella e buona quella lettera, un'autoillusione collettiva che "tutto si sarebbe risolto da sè", fatta forse proprio per "ovviare" a quel nulla che si era fatto prima. Una cazzata che come tale, a cinque mesi dall'inizio dei giochi, si è palesata.

Forse proprio perchè in fondo le Olimpiadi sono un evento davvero universale, dove chiunque bene o male si sente un minimo coinvolto, è giusto anche solo per un attimo, anche se prima ce ne siamo fregati, svegliarsi e dire la nostra. Non per spiegare ai cinesi come si governa un Paese, ma solo per dirgli che tutti gli uomini hanno dei diritti universali ed inalienabili, che devono essere rispettati.

Quei diritti sono loro come nostri, e per questo chiunque li tocchi, in qualsiasi parte del mondo, tocca qualcosa in parte anche nostro. E per questo, anche se tardivamente, ritengo sia giusto dover essere comunque attivi (anche nel nostro piccolo quotidiano) per difenderli

Ora, con la vetrina dei Giochi, questo messaggio ha la possibilità di raggiungere più persone, e farsi ascoltare anche da chi fino ad ora ha scelto di non farlo. Ed è per quello che è giusto trasmetterlo.

Anche se è tardi, e non lo abbiamo fatto prima, perdendo tempo prezioso. Perchè comunque è meglio farlo tardi, che non farlo mai.

Hai ragione, siamo di fronte ad un teatrino internazionale di cui siamo complici, protagonisti e comparse.
Il copione fino ad ora è stato il canovaccio dell'ipocrisia generale, ma cambiarlo si può. Voglio crederlo, o almeno disperatamente sperarci.