giovedì 31 gennaio 2008

Salviamo Sayed, condannato a morte in Afghanistan per aver detto la verità.

Dal blog di Pino Scaccia, giornalista e inviato.
Prendo e copio per intero:

"Sentenza capitale per un giovane afghano studente di giornalismo accusato di blasfemia e diffamazione dell'islam. Sayed Perwiz Kambaksh (nella foto a sinistra, courtesy of Reuters), 23 anni, è stato arrestato nella provincia di Balkh, Afghanistan del nord, lo scorso ottobre. Le autorità lo hanno fermato mentre distribuiva materiale contrario ai precetti religiosi; a quanto è trapelato i testi riguardavano la condizione della donna nel suo Paese.

Il verdetto, pronunciato ieri dal tribunale di Balkh, conclude quello che è stato un processo a “porte chiuse e sommario”, come denunciano i familiari del ragazzo. Il fratello, Yacoubi Brahimi, riferisce che Sayed non ha avuto neppure la possibilità di essere difeso da un avvocato in aula. Il giovane farà appello, come suo diritto, ma l’influente Consiglio dei mullah preme per l’esecuzione capitale. Nel corso del procedimento il giornalista, che lavorava per il quotidiano Jahan-i-Nawa, rimarrà in custodia cautelare a Mazar-i-Sharif. Rhimullah Samandar, capo della National Journalists Union Afghanistan, spiega che il ragazzo è stato condannato a morte secondo l’art. 130 della Costituzione afgana, che prevede, in caso di vuoto legislativo su una materia, di attenersi alla giurisprudenza “Hanafi”. Questa è una scuola ortodossa di giurisprudenza sunnita, seguita nell’Asia centrale e del sud".

La diffamazione dell'islam , appunto, è un reato non previsto nel codice penale e quindi perseguibile secondo la legge islamica. Samandar ha fatto appello al capo di Stato, Hamid Karzai, perché intervenga sul caso Sayed. La settimana scorsa a favore della liberazione del giovane giornalista si era espresso anche il Parlamento europeo, il cui presidente, Hans-Gert Pöttering, ha scritto a Karzai. Nella missiva si ricorda l’impegno dell’Europa contro la pena capitale e la necessità per l’Afghanistan di “garantire ai cittadini i diritti fondamentali”. Asianews

E adesso Karzai dimostri che vuole veramente entrare nel mondo civile. Proprio perchè amo l'Afghanistan, ho una grande rabbia. La colpa di Sayed, giovane aspirante giornalista, è di tentare di portare il suo Paese fuori del medioevo, denunciando l'impossibile condizione della donna. Tremo leggendo il suo secondo nome, Perwiz, quasi identico (Parwiz) a quello del mio interprete, più o meno la stessa età e soprattutto le stesse idee di libertà, molto attento a quello che succede in Europa e con il sogno, mi diceva, di vedere un giorno "Kabul come Berlino". Ancora, purtroppo, mi sembra un sogno molto lontano, anzi solo un sogno".

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Lo pubblico nella speranza di aiutare un giovane collega in difficoltà in un'altra parte del mondo, colpevole solo di aver scritto ciò che pensava in libertà per far riflettere il paese in cui vive. Non lo conosco, ma mi sento in qualche modo partecipe della sua vicenda: al suo posto potrei esserci io o chiunque di voi, se non fossimo nati in un paese diverso.

Per chiedere la sua liberazione si è mobilitato nei giorni scorsi anche il Parlamento Europeo, che per bocca del suo presidente Hans-Gert Pöttering ha chiesto la revoca della condanna a morte per il giovane studente di giornalismo.

Ne parla oggi anche il Corriere della Sera che spiega come il realtà l'arresto e la condanna del giovane farebbero parte di un disegno teso a colpire il fratello, giornalista critico contro il governo di Karzai, che aveva recentemente denunciato atrocità e delitti commessi da importanti figure politiche afghane.

Un modo per aiutare il giovane c'è, e invito tutti i lettori di Calle Del Vento a collaborare. Il prestigioso quotidiano inglese The Independent, dedicando oggi un articolo alla vicenda, ha lanciato una petizione internazionale via internet per richiedere la grazia del giovane condannato. Chiunque può firmarla, accedendo a questo link. E' una cosa di pochi secondi, che può salvare la vita di un innocente condannato ingiustamente. Il presidente Hamid Karzai ha infatti facoltà di fermare l'esecuzione in qualsiasi momento, ed è importante che l'opinione pubblica mondiale si faccia sentire, ed in fretta.

Da oggi questo blog seguirà la vicenda passo a passo, e vi terrà costantemente informati (per quanto possibile) fino alla sua conclusione. Se trovate inoltre altre petizioni o altre iniziative sul tema, invito tutti a segnalarmele.

Intanto, incrociamo le dita e diamoci da fare.

Art. 21, diritto di rettifica e libertà fondamentali.


Soltanto questo.

mercoledì 30 gennaio 2008

Cronaca della "non-intervista" di ieri a Raoul Bova: vi racconto com'è andata...

Ore 17: la libreria Mondadori di Padova vicino Piazza Insurrezione è già piena. Deve arrivare "Lui", il divo, il mito di milioni di ragazzine : Raoul Bova!


Con lui, annunciati per presentare il film "Scusa ma ti chiamo amore" il regista-autore Federico Moccia e la protagonista femminile Michela Quattrociocche. Promessa alla decina di giornalisti e fotografi presenti una mezz'oretta per chiacchierare con loro, prima di vederli ripartire alla volta del Cinecity di Limena dove ci sarà il vero evento: la proiezione del film con la conferenza stampa di presentazione di tutto il cast.


Il pubblico: perlopiù ragazzine, ma non mancano anche fans un po' più "stagionate" e qualche maschietto che ci dichiara di essere arrivato apposta per vedere la nuova ragazza-prodigio del cinema italiano: "Michela Quattrocolpi!". Vabbè, viva la sincerità!


L'evento è da non perdere, e difatti per ricordarlo in eterno c'è chi ci porta anche la figlia di neanche un anno, tenendola stampata al vetro per oltre un'ora! "Ti ricordi tesoro, di quando da piccola hai visto Raul Bova?!?!?". La bimba, stoicamente, resiste alla tentazione di chiedere l'autografo al divo dormendo in posizione verticale, nonostante le grida di centinaia di ragazzine esaltate.


I veri divi, si sa, sono sempre in ritardo: difatti alle 17:30 (ora ufficiale dell'incontro) ancora non si vede nessuno. Cresce la tensione, poi la noia, ma più di tutti il caldo. Il presentatore della serata tenta in ogni modo di tenere alto il morale del pubblico, mentre i fotografi si scatenano in ogni genere di pose. Menzione d'onore anche qui per i fotografi di Mattino e Gazzettino, che arrivano con il chiodo in pelle e se lo tengono addosso per tutto il tempo: sopra li vedete al lavoro, mentre fotografano il miraggio di una granita al limone che appare loro seduta in seconda fila.


Mentre il pubblico rumoreggia, soprattutto le ragazzine fuori che minacciano di abbattere il vetro a pugni bestemmiando contro noi fotografi che gli copriamo la visuale, si fanno le 18 e...il presentatore comincia un discorso strano. "Sapete cosa succede d'inverno? Che ci si prende l'influenza...". due minuti e arriva il pacco: Bova non c'è. La scusa addotta è una febbre a 39, ma non convince del tutto nè noi nè la platea. Specie perchè poi Bova si presenterà invece la sera alla presentazione al pubblico pagante al Cinecity a Limena: un migliaio di biglietti venduti e circa 8000 euro l'incasso totale della serata.

Il gossip suggerisce che in realtà il bel Raul non sia ancora arrivato a Padova, ma sia ancora a Torino in attesa di prendere l'aereo per arrivare in serata. Le voci rimarranno però senza conferma: alle mie domande Michela mi risponde che si sapeva che stesse un po' male, ma a loro non era stato detto niente...mah...
Crisi del pubblico, che inizia a lamentarsi, ma viene prontamente sedato dall'ingresso degli altri protagonisti scortati in pompa magna da un agente della municipale in giubbottino giallo: non si sa mai...


Alla fine arrivano: Michela Quattrociocche, Federico Moccia in un inedito completo con cappellino che fa tanto ricordare Serse Cosmi (il famoso ex allenatore del Perugia) , Francesco Apolloni (al cui ingresso cade il silenzio, perchè nessuno pare sapere chi sia. Il film ha fatto quasi 5 milioni di euro di incasso nel primo weekend di uscita, ma evidentemente non qui..), Francesca Ferrazzo e Michelle Carpente (nel film le amiche di Niki-Michela, nella libreria due ragazze carine ma quasi perfettamente sconosciute, tant'è che nessun giornale oggi si è preso la briga di cercare i loro nomi nel cast o chiederglielo per citarle... Non vi preoccupate, ci sono io...), e la produttrice della Medusa Film (ed ex moglie di Vittorio Cecchi Gori) Rita Rusic.
(Nella foto sopra Apolloni, la Carpente e Antonioni).



Sulla Quattrociocche va un paragrafo particolare (sono pur sempre un maschietto..). Ha 18 anni ma sembra completamente a suo agio tra fotografi e telecamere, tanto da dare a volte l'impressione di essere un po' "costruita", con un aspetto acqua e sapone e occhi castani micidiali. Sfoggia sempre un sorriso per fotografi e fan che si sposa d'incanto con le macchine fotografiche. Ho fatto tante foto, un po' a tutti, ma devo dire che sbagliarne una con lei è praticamente impossibile!


Se saprà scegliere i film giusti, è probabile che questa ragazza possa farsi un nome... Il film non l'ho visto, ma la voce è stata una delle poche alla presentazione che non necessitasse di un doppiaggio urgente per depurarla da accenti romaneschi vivissimi.


Domande a tutti, attori disponibili, saluti e baci tra domande scontate e non ("Pensate che una storia come quella del film sarebbe possibile nella realtà?", "Com'è Raul Bova come attore?"), la conferenza finisce con l'assedio delle fan a Federico Moccia per ottenere disperatamente un autografo sul libro e dei fan a Michela Quattrociocche e amiche per una foto abbracciati da mostrare agli amici.
Particolare singolare, alla fine una parte delle ragazze (deluse evidentemente dall'assenza del divo Bova) assedia addirittua i bodyguard di Moccia & Co. chiedendogli l'autografo: sorrisi metà sbigottiti e metà gigioni, ma richieste puntualmente accontentate! Cosa ci faranno? Mah...

Alla fine la serata finisce sulle 20, quando le star, esauriti gli autografi, fuggono sulle loro monovolume dalla porta di servizio. Il servizio doveva essere su Bova, ma abbiamo materiale anche sul resto! Non è andata così male...

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Due precisazioni di servizio: le foto e i testi del "servizio"sono miei, tranne la prima di Raoul Bova che ho trovato sul web, e potete prenderli e usarli a vostro piacimento purchè sia citato l'autore. Per chi ne volesse altre della serata o per qualunque altra informazione, mandatemi una mail al mio indirizzo di posta: gentiluomini.di.fortuna@gmail.com.

Un ringraziamento doveroso infine a Elisa, fotografa per passione: grazie per l'aiuto nei settaggi e per la disponibilità nonostante la confusione!
Ti devo un favore: fammi sapere come posso restituirtelo...

That's all folks! Alla prossima!

Alessandro "Gig" Gigante :)

Zero.

Zero: come il risultato del mio esperimento di giornalismo partecipativo via web...

Ragazzi, 180 contatti ieri e zero reazioni all'invito di provare ad essere giornalisti per un giorno intervistando il cast di "Scusa, ma ti chiamo amore"...


I casi sono 3:


1) Non ho ragazze nel pubblico del blog (alquanto improbabile, almeno spero!),

2) Non ho ammiratori di Bova nel pubblico del blog (altrettanto improbabile credo),

3) Non ve ne pò fregà de meno de Raul Bova... (questo è già più possibile...).


In ogni caso, potete fare di meglio... Sarà per la prossima...

martedì 29 gennaio 2008

Il giornalismo che vorrei.

Il giornalismo che vorrei? Solo un po' più serio.

Che faccia quello per cui è nato: informare, sopra di tutto. Prima di distrarre la gente dalle cose serie, rintronandola con gossip, veline scosciate e telerisse politiche alla "Studio Aperto" o "Tg4".


Basterebbe poco, solo più gente che facesse come lei... Ve la ricordate? Si chiama
Mika Brzezinski, giornalista dell'emittante americana MSNBC, e divenne famosa perchè si rifiutò di dare in diretta l'ennesima notizia di gossip su Paris Hilton: dapprima tentando di bruciare il foglio che le era stato dato, ed infine infilandolo nel tritacarte all'insistenza della redazione!





D'altra parte cosa c'era nel mondo nel giugno 2007? "Solo" la guerra in Iraq, ad esempio...

Un mito, Mika...

Volete intervistare Raoul Bova?

Oggi pomeriggio alle 17:30 mi mandano a fare un servizio/intervista sulla presentazione del nuovo film tratto dal libro di Federico Moccia "Scusa ma ti chiamo amore", alla Libreria Mondadori di Padova (per chi conosce la città quella vicino Piazza Insurrezione).

Il comunicato stampa lo trovate qui: saranno presenti Raoul Bova, Michela Quattrociocche e Federico Moccia.

Volete partecipare anche voi? C'è qualcosa che vorreste chiedere a uno dei tre (minchiate a parte) ? Domande interessanti che vorreste fare, ma non ne avete la possibilità?

Se volete aiutarmi ed essere protagonisti lasciate le vostre domande nei commenti, e prometto che tenterò il possibile per farle ai diretti interessati, pubblicando poi le risposte qui sul blog! Potrei anche promettere autografi, ma non garantisco nulla...

Conto su di voi: se volete altri dettagli chiedete! Io ripasso tra un po'...a dopo!

Gig:)

lunedì 28 gennaio 2008

Lezioni di marchette. (Come diceva Andreotti...)

Da Wikipedia :

"Originariamente il termine marchetta designava una sorta di francobollo (marca, appunto) che veniva applicato sul libretto di lavoro degli operai per attestare l'avvenuto pagamento dei contributi previdenziali (fino all'epoca fascista).

In senso traslato il termine venne usato per indicare un gettone che il cliente di un bordello ritirava alla cassa pagando in anticipo la prestazione, e che successivamente lasciava alla prostituta con la quale s'intratteneva, in modo tale da permetterle di riscuotere il compenso dovutole. Da qui in poi, il termine marchette è sempre stato riferito all'ambito della prostituzione.

Al giorno d'oggi, fare marchette o essere un marchettaro designa una persona dedita alla prostituzione, ed in modo specifico è riferito alla prostituzione maschile.

In ambito giornalistico, con il termine marchetta si fa riferimento ad un articolo scritto per compiacere qualcuno. Nel campo televisivo, si usa il termine marchette quando un attore/attrice o personaggio comunque noto, va in televisione a raccontare fatti (spesso intimi o comunque personali) della sua vita privata solo per denaro".

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Il resto del contenuto del post , oggi 31 gennaio 2008, viene cancellato.

Raccontava una storia, una piccola storia, il cui protagonista si è sentito offeso dai contenuti qui pubblicati. Dapprima chiedendomi di cancellare il tutto in maniera gentile, poi in altri modi che non esito a definire "minacce" nell'arco di poche ore.

Mi sono quindi trovato davanti ad una scelta: tenere fede alla promessa di mantenere libero da ingerenze questa piccola isola sul web, o accettare la richiesta di quello che continua ad essere (spero ancora) un mio amico, a prescindere dai suoi modi.

Per questa volta, ma solo per questa volta, scelgo l'amicizia, nonostante tutto. Nonostante la rabbia che mi è presa a ricevere certe cose in certi momenti, che non mi sarei aspettato, e nonostante tutti i pensieri che ne sono seguiti, e che non avrei mai pensato di fare. Posso garantire a voi tutti che non è stata una scelta facile: ma non ce ne sarà una seconda. Ora è come una corsa ad ostacoli: la prima falsa partenza è concessa a chiunque; la seconda non si perdona a nessuno.

Però, caro X, una cosa sola voglio dirtela. Esiste, nel nostro ristretto "circolo" che qualcuno chiama "casta", un diritto che dovrebbe essere sacro anche se molto spesso finisce per essere il più violato di tutti: si chiama "diritto di rettifica". Vuol dire che qualsiasi cosa io dica e scriva, anche se questo non è un giornale nè una pubblicazione vagamente simile, esiste per te il diritto di controbattere venendo rappresentato con uguale spazio e uguale visibilità. A questo diritto io sono tenuto ad obbedire, ma lo seguo e lo rispetto soprattutto perchè credo in quello che esso rappresenta: l'uguaglianza e la libertà di parola.

Alla storia che io raccontavo, che - bada bene - era possibilistica e non assoluta riguardo ad un fatto che potesse essere accaduto, tu avevi (come mi hai detto) ottimi argomenti da opporre in risposta. Ora non posso più mostrarli, giacchè mi hai privato del resto senza i quali essi non hanno più senso.

C'è uno spazio, in questo blog come in tanti altri, che si chiama "commenti", che serve proprio a quello: dare voce a chi vuole dire la sua. A volte non basta, o non è ritenuto sufficiente, e in caso di errori ho l'abitudine di riportare il commento nel post con uguale visibilità e carattere proprio per evitare questo: se cerchi nel blog è già successo, per fortuna poche volte.

Potevi approfittarne, e ribadire i tuoi concetti in un modo diverso: a mio modesto parere, più giusto. Avrei fatto così anche con te: tutto quello che avresti voluto dire sarebbe stato detto e pubblicato. In libertà.

Lo credo più giusto come modo di agire per i valori a cui apparteniamo entrambi, e che secondo me tu in questo modo hai tradito. Ora è successo per una cosa da nulla: una storia che non avrei nemmeno mai scritto se non fosse arrivata proprio da te, da una persona da cui non me l'aspettavo. Ma se fosse andata in altro modo? E su una cosa più importante?

Ho scelto di cancellare nonostante tutto il contenuto di questo post per farti riflettere proprio su questo: cosa accadrebbe, se in futuro questa situazione ti si ripresentasse davanti di nuovo, magari in altra veste e con altri attori più grandi di me?

Chiediti solo: cosa faresti?

Io lo so: mi atterei a queste parole.
  • art. 18: Ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e di religione
  • art. 19: Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.
Sai da dove vengono? "Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo", 1948.
  • 1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera.
  • 2. La libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati.
Questa invece è la "Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali", 1955.

"Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili.
In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all'autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo di ogni effetto.
La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni".

Questo invece è l'art. 21 della nostra Costituzione, 1948. Fa parte dei diritti e doveri dei cittadini, ma soprattutto fa di me e te quello che siamo. Prima ancora, ci guida verso quello che io e te vorremmo essere: forse in modi diversi, ma (credo) con le stesse finalità.

Io credo a queste parole, le rispetto e le divulgo perchè le sento mie. Come la libertà di scrivere di ciò che voglio, senza ledere però la libertà degli altri.

E' per questo che non ritengo di dovere fare scuse: ho fatto solo ciò che ritenevo giusto.

Se, come spero, avrai la pazienza e la volontà di leggere tutto questo e di arrivare fino a qui, spero che stavolta lascerai un commento o la tua voce, anche in forma anonima. Per dirmi ciò che pensi, raccontare le tue ragioni o fare qualsiasi cosa di altro tu voglia fare, con gli strumenti che ci sono dati. Ti garantisco che le sarà dato lo stesso spazio e la stessa visibilità di queste parole che sto scrivendo ora.

Con questo chiudo e ti saluto, con un solo monito.

Non ci sarà una seconda volta.

Tutto quello che riceverò sarà pubblicato, e tutto quello che vorrò dire sarà detto. Qui come altrove.

Odio i bavagli: non ne metto e non me ne sono mai fatti mettere. Ma stavolta l'ho fatto con un motivo, che credo importante.

Alterius non sit qui suus esse potest.

Vale.

Aggiunta delle 14:24

A seguito di discussioni avvenute preciso quanto segue: ogni cosa scritta su questo blog è frutto solamente mio, di mie impressioni e miei pensieri personali. Quello di cui si parla, qualsiasi cosa, è visto attraverso i miei occhi e il mio modo di pensare: mi ritengo pertanto l'unico responsabile di qualsiasi cosa sia qui pubblicata. Questo blog non è una testata giornalistica, nè pretende di esserlo o averne la stessa credibilità e attendibilità. Per ogni cosa di cui scrivo cerco sempre comunque di verificare nel modo migliore le fonti, che troverete sempre citate alla ricerca del massimo contradditorio e della verità oggettiva dei fatti. Ogni cosa che non passa sotto la definizione di "fatto oggettivo" ma entra in altre sfere, come quella dei commenti o delle opinioni, è tenuta tendenzialmente distinta dal resto o comunque segnalata.

Nella vecchia versione di questo post si dava il link ad un articolo pubblicato su una rivista online. La suddetta rivista non ha nulla a che fare nè è coinvolta in qualche modo in ciò che io scrivo qui, nè nei contenuti del post suddetto, e mi scuso con chiunque degli altri collaboratori della rivista possa essersi sentito in qualche modo offeso da ciò che avevo precedentemente scritto. In caso di commenti, lettere o reclami, questi saranno pubblicati con ampia visibilità sul blog.

Credo sia tutto.


La "fiorentina" ucciderà la Terra...per colpa dei peti! Però (almeno nei giornali) non si può dire!

Avete letto il post precedente? Bene! Sapete qual'è una delle principali cause di produzine di metano da parte degli allevamenti bovini, responsabili secondo il New York Times di spianare la strada all'effetto serra?

I peti!


Sì, proprio le care vecchie puzzette (o scoregge che dir si voglia), provenienti dallo stomaco dei nostri amici a quattro zampe sono tra le più formidabili produttrici di gas metano, responsabile del surriscaldamento globale! ...ma per il giornale le puzzette sono ancora politicamente scorrette...e nessuno ne parla, nè tantomeno le nomina!

Io il discorso l'avevo già sentito, ma ad essere sincero faticavo a crederci del tutto. Allora mi sono messo a fare un po' di ricerche, ed è saltato fuori questo: la documentazione sembra buona ed attendibile, ma se trovate altro...fate sapere!!!


Dal forum www.nntp.it, alla sezione di discussione sulle energie alternative... Mucche scoreggione!

[...] Faccio alcune premesse (non rivolte a lei, ma al thread).

A) L'ozono non e' gas innocuo o benefico, ma un'inquinante aggressivo verso il sistema respiratorio umano. Pero', l'ozono e' anche un filtro contro i raggi ultravioletti duri. Percio' l'ozono e' utile per gli esseri umani quando si trova ad alta quota, nella stratosfera, perche' filtra gli ultravioletti con una lunghezza d'onda minore di 320 nm. Quella che passa e' percio' solo la radiazione ultravioletta tra 320 e 400 nm, utile anche per la produzione di vitamina D nel corpo umano. L'ozono viene dissociato reagendo con ossigeno atomico e questo processo e' catalizzato dai clorofluorocarburi e dai bromuri di molecole organiche. Anche l'ossido nitrico (NO) lo ione ossidrile (OH) catalizzano la reazione, ma attualmente la loro influenza non e' cosi pesante come quella dei CFC.

B) Il metano invece crea ozono negli strati bassi dell'atmosfera
(dissociandosi), nella troposfera ed ivi non e' benefico. Quindi non solo non e' vero che il metano buchi lo strato di ozono, ma anzi favorisce la produzione di ozono, anche se, purtroppo, non nella stratosfera.

Non mi meraviglia che la sottigliezza di cui sopra sfugga al giornalista superficiale ...

Il problema e' che il metano e l'ozono da esso prodotto sono anche
importanti gas ad effetto serra, anche se al secondo posto dopo l'anadride carbonica (CO2): http://www.giss.nasa.gov/research/news/20050718/ http://www.nasa.gov/vision/earth/loo...h/methane.html E' vero che e' da sempre che in natura viene prodotto del metano. Fonti di metano sono, oltre al bestiame, la putrefazione vegetativa, ad esempio nelle paludi e nelle risaie, e pare anche che le termiti contribuiscano in modo non trascurabile. A queste c'e' da aggiungere l'attivita' mineraria e di estrazione petrolifera (il metano e' spesso contenuto nei giacimenti ed e' il primo ad uscire dai pozzi. Pero' l'incremento della concentrazione di CO2 ha portato a notare anche queste emissioni. E' un po' come quando si portano nuovi mobili in casa, finiscono fuori dalla finestra quelli che e' decenni che sono in casa :-)

Attualmente alcune fonti stimano che il metano nell'atmosfera contribuisca per il 18% all'effetto serra. Di questo metano, solo una parte e' dovuta al bestiame. Di questa parte, si stima che circa il 90% sia prodotto da ruminanti (pecore, capre, cammelli, buffali), ma la maggioranza sono i bovini, di cui si stima che nel mondo ci siano 1,2 miliardi di capi. Con questa informazione, qualcuno ha calcolato che ogni anno il bestiame produrebbe 94 milioni di tonnellate di metano. Il 10% nel solo Brasile. Per quanto riguarda il metano prodotto dalle risaie, il 90% delle stesse si trova in Asia.

Queste due considerazioni
sono di interesse per i paesi interessati, perche' possono affrontare il problema della riduzione delle emissioni di gas serra, non riducendo il CO2, ma il metano (cosa forse piu' facile per economie in via di sviluppo). Ed in alcune di queste nazioni, la stima e' che il metano prodotto naturalmente e' per poco meno di un terzo di origine animale. Tra parentesi, in Brasile gli allevamente di bestiame incidono sulle emissioni di gas di effetto serra in modo pesante anche a causa dell'incendio della foresta tropicale per fare posto ai pascoli. Come e' successo in Italia del Sud negli ultimi duecento anni (ed ancora oggi certi incendi sono di origine sospetta).

Tornando al metano, gli allevamenti piu' grandi sono appunti "fuori
stalla" e quindi la possibilita' di recupero e' difficile. Tornando alle stalle, usando i due numeri che ho trovato, pare che un bovino produca 94'000'000 t / 1'200'000'000 = 0.078 t/anno di metano. Percio' una stalla di 100 capi produrebbe all'anno 7,8 tonnellate di metano che se non sbaglio sono 5'617 metricubi, cioe circa 200'000 MJ di energia equivalente (circa 53 MWh).

Se non ho sbagliato i conti resta solo da
capire come "distillare" il metano dall'aria di stalla. Un'idea che mi viene al volo e' per esempio di usare l'aria della stalla come comburente per una centrale termica: in teoria il metano presente viene bruciato e si dovrebbe produrre calore addizionale. Quanto incida su tutto il processo non so se pero' giustifica il costo delle canalizzazioni per convogliare l'aria della stalla.

Ahh, dimenticavo, la domanda:
http://www.research.noaa.gov/spotlit...t_methane.html si puo' iniziare per le ricerche ... ad esempio: http://www.pnas.org/cgi/content/abstract/0600201103v1 ove scrivono che: "The main human activities that contribute to methane emissions are cattle and rice farming. Other sources include coal mining, landfill sites, and the burning of biomass." la cura: http://jas.fass.org/cgi/content/abstract/84/6/1489

R.L.Deboni

La "fiorentina" ucciderà la Terra?

...cioè io in pratica con la mia passione per le costolette sterminerei l'umanità?!?

Leggetevi questo post, e poi il prossimo... Anche se coi prezzi attuali, prevedere che il consumo di carne raddoppierà lo vedo un po' ottimistico... Mah...

Dal sito di Repubblica.it:

di MARK BITTMAN

LA BISTECCA FA MALE ALLA TERRA
La produzione di bestiame mondiale è responsabile di più gas dell'intero sistema dei trasporti.
Il consumo di carne raddoppierà entro il 2050, se non varieremo l'alimentazione.

NEW YORK - Un cambiamento epocale nell'uso di una risorsa che si dà per scontata potrebbe essere imminente. No, non si tratta di petrolio, ma di carne. Come il petrolio anche la carne è soggetta a una domanda crescente a mano a mano che le nazioni diventano più ricche e ciò ne fa salire il prezzo. E come il petrolio anche la carne è qualcosa che tutti sono incoraggiati a consumare in quantità minori. La domanda globale di carne si è letteralmente impennata negli ultimi anni, sulla scia di un benessere crescente, alimentata dal proliferare di vaste operazioni di alimentazione forzata di animali d'allevamento. Queste vere e proprie catene di montaggio della carne, che partono dalle fattorie, consumano quantità smisurate di energia, inquinano l'acqua e i pozzi, generano significative quantità di gas serra, e richiedono sempre più montagne di mais, soia e altri cereali, un fatto che ha portato alla distruzione di vaste aree delle foreste pluviali tropicali.
Proprio questa settimana il presidente brasiliano ha annunciato provvedimenti di emergenza per fermare gli incendi controllati e l'abbattimento delle foreste pluviali del Paese per creare nuovi pascoli e aree di coltura. Negli ultimi cinque mesi soltanto, ha fatto sapere il governo, sono andate perse 1.250 miglia quadrate di foreste.

Nel 1961 il fabbisogno complessivo di carne nel mondo era di 71 milioni di tonnellate. Nel 2007 si stima che sia arrivato a 284 milioni di tonnellate. Il consumo pro-capite di carne è più che raddoppiato in questo arco di tempo. Nel mondo in via di sviluppo è cresciuto del doppio, ed è raddoppiato in venti anni. Il consumo mondiale di carne si prevede che sia destinato a raddoppiare entro il 2050.


Produrre carne comporta il consumo di tali e tante risorse che è una vera impresa citarle tutte. Ma si consideri: secondo la Fao, la Food and Agriculture Organization delle Nazioni Unite, le terre destinate all'allevamento del bestiame costituiscono il 30 per cento delle terre emerse non ricoperte da ghiacci del pianeta. Questa stessa produzione di bestiame è responsabile di un quinto delle emissioni di gas serra della Terra, più di quelle emesse dai trasporti nel loro complesso. Uno studio dello scorso anno dell'Istituto nazionale di scienze dell'allevamento in Giappone ha stimato che ogni taglio di carne di manzo da un chilogrammo è responsabile dell'equivalente in termini di diossido di carbonio alle emissioni di una vettura media europea ogni 250 chilometri circa e brucia l'energia sufficiente a tenere accesa per 20 giorni una lampadina da 100 watt.

Cereali, carne e perfino energia sono collegati tra loro in un rapporto di interdipendenza che potrebbe avere spaventose conseguenze. Benché circa 800 milioni di persone di questo pianeta soffrano la fame o siano affette da malnutrizione, la maggior parte dei raccolti di mais e soia coltivati finiscono a nutrire bestiame, maiali e galline. Ciò avviene malgrado un'implicita inefficienza: per produrre le stesse calorie assimilate tramite il consumo di carni di bestiame allevato e il consumo diretto di cereali occorrono da due a cinque volte più cereali, secondo quanto afferma Rosamond Naylor, docente associato di economia all'università di Stanford. Nel caso di bestiame allevato negli Stati Uniti con cereali questo dato deve essere moltiplicato ancora per dieci. Negli Stati Uniti l'agricoltura praticata per soddisfare la domanda di carne contribuisce, secondo l'Agenzia per la Protezione Ambientale, a circa tre quarti dei problemi di qualità dell'acqua che caratterizzano i fiumi e i corsi d'acqua della nazione.


Considerato poi che lo stomaco delle bestie allevate è fatto per digerire erba e non cereali il bestiame allevato a livello industriale prospera soltanto nel senso che acquista peso rapidamente. Questo regime alimentare ha reso possibile allontanare il bestiame dal suo ambiente naturale e incoraggiare l'efficienza dell'allevamento e della macellazione in serie. È tuttavia una prassi che provoca problemi di salute tali che la somministrazione di antibiotici è da ritenersi usuale, al punto da dar vita a batteri resistenti agli antibiotici.


Questi animali nutriti a cereali contribuiscono oltre tutto a una serie di problemi sanitari tra gli abitanti più benestanti del pianeta, quali malattie cardiache, alcuni tipi di cancro e diabete. La tesi secondo cui la carne fornisce un apporto proteico è giusta, purché le quantità siano limitate. L'esortazione americana quotidiana a consumare carne - del tipo "guai a te se non mangi la bistecca" - è negativa.

Che cosa si può fare? Risposte facili non ce ne sono. Tanto per cominciare occorre una migliore gestione degli sprechi. A ciò contribuirebbe l'abolizione dei sussidi: le Nazioni Unite stimano che questi costituiscono il 31 per cento dei guadagni globali dell'agricoltura. Anche migliori tecniche di allevamento sarebbero utili. Mark W. Rosengrant, direttore della tecnologia ambientale e della produzione presso l'istituto senza fini di lucro International Food Policy Research afferma: "Occorrerebbe investire nell'allevamento e nella gestione del bestiame, per ridurre la filiera necessaria a produrre un livello qualsiasi di carne".


E poi c'è la tecnologia. Israele e Corea sono tra i Paesi che stanno sperimentando tecniche di sfruttamento delle scorie e del letame animale per generare elettricità. Altro suggerimento utile potrebbe essere quello di far ritorno al pascolo. Mentre la domanda interna di carne è ormai uguale ovunque, la produzione industriale di bestiame è cresciuta due volte più rapidamente dei metodi di base di sfruttamento delle terre, secondo quanto risulta alle Nazioni Unite. I prezzi reali di carne bovina, di maiali e pollame si sono mantenuti costanti, forse sono perfino scesi, per 40 anni e più, anche se ora stiamo assistendo a un loro aumento di prezzo. Se i prezzi elevati non costringono a cambiare le abitudini alimentari, forse sarà tutto l'insieme - la combinazione di deforestazione, inquinamento, cambiamento del clima, carestia, malattie cardiache e crudeltà sugli animali - a incoraggiare gradualmente qualcosa di molto semplice: mangiare più vegetali e meno animali.
Nel suo studio del 2006 sull'impatto dei consumi di carne sul pianeta, intitolato "La lunga ombra del bestiame", la Fao dice: "È motivo di ottimismo prendere atto che la domanda di prodotti animali e di servizi ambientali sono in conflitto tra loro ma possono essere riconciliate". Gli americani, in effetti, stanno comprando sempre più prodotti eco-compatibili, scegliendo carni, uova e latticini prodotti con metodi sostenibili. Il numero dei prodotti e dei mercati di questo tipo si è più che raddoppiato negli ultimi 10 anni.

Se gli attuali trend continueranno, invece, la carne diventerà una minaccia più che un'abitudine. Non diventerebbe del tutto insolito consumare carne, ma proprio come i SUV dovranno cedere il passo a vetture ibride, l'epoca dei 220 grammi al giorno di carne sarà giunta alla fine. Forse, dopotutto, non sarà poi così drammatico.



(copyright The New York Times)

(Traduzione di Anna Bissanti)

L'uomo sogna di volare.

"Non è colpa mia", pur sapendo che non era vero: chi non l'hai mai detto almeno una volta?

O "Non fate come me": quanti non l'hanno detto, pur sapendo che era vero?

Ultimamente ho sempre questa canzone in testa.. Mi sembra un po' lo specchio di tutto, adesso.. La regalo anche a voi: il testo è semplice, ma dice sorprendetemente tanto, in così poco.

"L'uomo sogna di volare", Negrita ("L'uomo sogna di volare", 2005, Black Out Music)

Piccole considerazioni sulla caduta del governo.

La prima cosa che mi è venuta in mente quando è caduto il governo?

"Cambiare tutto per non cambiare niente".

Quelli che hanno causato la crisi sono ancora lì. Politici il cui nome non ho scelto io siedono nei banchi dell'istituzione che mi rappresenta. L'ex "guardasigilli" Mastella siede ancora lì. L'onorevole sputazzatore Barbato siede ancora lì. Il guitto che ha tirato fuori la bottiglia di spumante dal banco mentre l'Italia affondava senza governo (buono o cattivo che fosse) è ancora lì. Gli uomini che vogliono correre a votare con una legge definita dai suoi creatori "porcata" per non dare parola agli italiani in quel referendum che tutti temono sono ancora lì, e urlano forte. Politici corrotti che pensano prima alla poltrona e poi a me che non li ho votati sono ancora lì. Gente di 70 anni, coi capelli bianchi o senza, che pretende di parlare dei giovani e del loro futuro che non vedranno mai è ancora lì. Al Senato si può essere eletti a 40 anni: guardate la foto a fianco: vedete quarantenni?

Oggi ho trovato una bella frase presa da una canzone dei Depeche Mode che vi voglio girare:
  • You can't change the world | But you can change the facts | And when you change the facts | You change points of view | If you change points of view | You may change a vote | And when you change a vote | You may change the world. (da New Dress)
  • Non puoi cambiare il mondo | Ma puoi cambiare i fatti | E quando cambi i fatti | Cambi i punti di vista | E se cambi i punti di vista | Puoi cambiare un voto | E quando cambi un voto | Puoi cambiare il mondo


Una volta un professore, a Scienze della Comunicazione a Bologna, ha detto durante una lezione che un po' la democrazia com'è adesso è viziata da un grosso difetto di fondo: è prigioniera di sè stessa.
L'elettore - diceva - ha potere solo per un minuto ogni 5 anni: quando viene chiamato a votare. Dopo aver votato perde ogni forma di controllo diretto su ciò che farà la gente che esso ha delegato a rappresentarla, e potrà solo aspettare il prossimo voto per poter dire di nuovo la sua, non potendo agire in nessun modo su ciò che avverrà nel mezzo. La voce degli italiani - gli hanno opposto - ha però più modi per farsi sentire: ci sono i referendum ad esempio. Ora: guardate i referendum scorsi, gli esiti dei voti e cosa ne è seguito: nulla. Fecondazione, sperimentazione embrionale, finanziamento pubblico ai partiti: nulla (se volete saperne di più leggete sempre qui al capitolo " La neutralizzazione del referendum").

Tra un po' probabilmente si tornerà a votare. Informatevi, leggete, ascoltate tutto quello che vi gira intorno. Parlate delle cose, comprate giornali, disintossicatevi dalla tv dei salotti e delle risse incocludenti fatte solo per avere visibilità e concentratevi sui fatti e sulle parole, ma quelle che servono davvero. Fatevi un'opinione e siate sempre disponibili a modificarla in un confronto, senza ritenervi mai superiori a nessuno: chiunque può insegnarci qualcosa.

E siate pronti per quando vi chiameranno a parlare.

Avrete solo un minuto, ma forse, per una maledetta volta, servirà per cambiare qualcosa davvero.

giovedì 24 gennaio 2008

A guardare le stelle e finestre chiuse (tentando di camminare girato all'indietro).

Come si fa...? Come si fa a camminare in avanti, se la tua testa continua sempre ad essere girata all'indietro?

...è che ci sono persone al mondo, a cui per i motivi più vari, finisci per lasciare una parte di te che ti accorgi soltanto dopo non puoi riprendere... Ne senti la mancanza, e torni a cercarla anche se tutto questo non ha senso, o quasi... Nei momenti in cui non pensi a nulla e ti ritrovi lì, in un mare di ricordi che dovrebbero essere sepolti e invece restano sempre a pelo dell'acqua pronti a riaffiorare non appena li sfiori...

Pechè ti rendi conto solo dopo tanti errori che nel frattempo sono diventati troppi, che stavi vivendo una favola e non te ne eri accorto...

...e ti ritrovi fuori da una finestra che era aperta e adesso è chiusa, ad aspettare che un giorno, per un qualche scherzo del destino, si apra di nuovo: con il sole o con la pioggia, sentendo scorrere ogni goccia sul viso, perchè in fondo quella piccola parte di te continua a chiamarti...e continuerà a farlo.


Sì, nonostante tutto mi manchi ancora.

E maledettamente tanto.

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L'importanza di non essere il primo (e del perchè non venderò l'anima al diavolo per diventarlo)

Ieri pomeriggio ho avuto un piccolo ma intenso delirio di onnipotenza.

Curiosando per caso nella classifica dei blog più influenti della blogosfera italiana redatta da Wikio (il nuovo motore di ricerca di Wikipedia) ho scoperto infatti di esserci dentro: come potete vedere da bollino in basso, sono l'11.438esimo blog più influente d'Italia!

Se il primo, come immagino, è quello di Beppe Grillo, facendo i debiti paragoni questo blog ha un undicimillesimo e rotti del potere di convincimento delle masse di Grillo: praticamente mezza unghia, ma mi accontento! Se il Beppe con un paio di post infuocati può far cascare un ministro (magari no, ma inguaiarlo sì!), concentrando tutto il potere mediatico di questo piccolo insieme di link e frasi sconnesse racchiuso in una pagina web, forse potrei addirittura far cadere un capello a Mastella!

Scherzi a parte poi mi è venuto un piccolo dubbio: di tutto questo potere e volume di traffico...che me ne faccio?

La prima cosa che mi è venuta in mente, avendo il blog sulla piattaforma di Google che tende a pomparli terribilmente, è stata quella di installare sul blog i famosi annunci pubblicitari AdSense: magari, mi dico, è la volta che riesco a fare su anche due soldi! Per chi non sapesse di cosa si parla riporto la definizione di Wikipedia:

"AdSense è il canale pubblicitario di Google che permette di guadagnare con il proprio sito. E' un algoritmo che scansiona in automatico il contenuto delle pagine web e pubblica in una sezione dedicata gli annunci più pertinenti al sito. La remunerazione è basata principalmente sul sistema del pay-per-click: Google paga qualche centesimo di dollaro ogni volta che un utente clicca sull'annuncio AdSense. Un' altra forma di guadagno può essere ottenuta con il CPM, ovvero il costo per mille impression".

Google la pubblicizza come un modo rapido e facile per diventare miliardari (esagero..)..ma sarà davvero così?

Incuriosito, mi sono chiesto se davvero questo miracolo degli AdSense esistesse veramente e mi sono messo in giro nella rete a cercare testimonianze, e soprattutto cifre, pensando magari a come creare il blog perfetto per diventare milionario e re della rete.

Di tutti i siti che spiegano come funzionano gli annunci pubblicitari che pagano e cosa fare per farli fruttare ne riporto solamente uno, che a mio parere dà il riassunto migliore, e che userò per spiegare il risultato della mia piccola ricerchina. Lo trovate qui.

La prima cosa che dicono tutti è: generare traffico. Più gente va sul proprio sito/blog, più possibilità c'è che qualcuno clicchi sui banner pubblicitari. Come si fa? Iscrivendosi al maggior numero possibile di siti che pubblicizzano o catalogano blog, scrivendo di argomenti che calamitino gente, lasciando commenti su più siti possibili per farsi notare, e usando (se proprio lo si ritiene necessario) anche trucchetti abbastanza sporchi per falsare le classifiche (qui un ottimo esempio di un caso recente).

Tutto questo porta il blogger affamato a tentare di generare sul proprio sito il massimo di traffico possibile, usando dopo la pubblicità fatta al blog dappertutto gli stessi suoi contenuti e/o tags.

Ora, grazie al contatore di visite io, come mille altri, un po' vi spio. So da dove partite per arrivare sul blog, so cosa cercate (le chiavi di ricerca) e da che siti provenite (e quindi si presume seguite). Per esempio, nell'immagine qui a lato ci siete tutti voi fino a mezz'ora fa. Cosa cercate? Curioso: la prima voce è "Lupin", seguita da "megafono" (che cazzo ci fate?), da "coccodrillo" (e qui sarei veramente curioso...), da "capo dei capi" e così via.

Ma, come tutti sanno come questo stesso blog ha avuto modo di accorgersi, quali sono le cose che tirano di più in Rete? Vi ricordate del caso dei post su Anna Ciriani (qui e qui)? Beh, su Internet quello che tira di più è sempre il sesso, e derivati vari: calendari, video, etc etc.
Ora, se voglio aumentare ancora il traffico metterò ovunque post taggati "sesso" o "porno" con relativa dovizia di video o foto: come abbiamo già visto...tira!

A questo punto, il terzo passo per fare soldi: la posizione dei banner. La gente ci deve cliccare sopra, non importa se volontariamente o meno, quindi eviterò di piazzarli in un angolino piccolo e delimitato a lato, senza disturbare, ma li piazzerò ovunque, in mezzo ad esempio tra un post e l'altro e magari un po' mimetizzati, possibilmente nello stesso layout del blog e disposti a trappola in modo che ci finisca più gente possibile.

Fatto tutto questo, dovrei avere un traffico immenso e soldi a palate...forse.

I soldi veri infatti, a quanto ho trovato in giro, si fanno solo facendo blog o siti creati apposta per guadagnare, che richiedono tempo, attenzione e strategie di marketing continue e attive, come spiega bene questo post qui dal blog Marketing Routes.

Questi blog/siti però saranno fatti per godimento proprio o per correre dietro al maggior pubblico possibile?

Io credo la seconda.

Si può guadagnare sul web, usando il proprio "piccolo potere" come quello che ho scoperto di avere, ma solo vendendo una parte della propria anima di blogger. Ve loimmaginate un gestore di un sito di marketing o porno che un giorno, perchè gli va, posta un libro di Corto Maltese o un messaggio romantico dedicato alla propria ragazza? Non può nemmeno pensarlo, perchè non è quello che gli utenti si aspettano da lui e non è nemmeno quello che lo fa guadagnare. Perderebbe utenti e guadagni, e non può permetterselo.

E' per questo che, in conclusione, non userò il mio "piccolo potere" personale per tentare di guadagnarci su col blog. Perchè sono sicuro, conoscendomi, che un giorno alla volta, pian pianino, finirei per vendere la mia anima di cazzeggiatore. E questo blog non sarebbe più lo stesso, nè lo sentirei più mio.

Userò tutto questo solo per fare quello che scrissi sin dal primo post: conoscere nuova gente e farmi nuovi amici, da invitare a prendere uno spritz nella mia piccola "Calle del vento". Che non diventerà mai il sito più seguito d'Italia, ma sarà sempre un posto bello dove poter tornare.

Errata corrige: su segnalazione di Alex (l'account è anonimo) pubblico in nota una correzione al post, che potete trovare anche nel box commenti sottostante.

"Wikio.it non è il motore di ricerca di wikipedia (che si chiama Wikia);-) ma un progetto presente in 5 lingue nato da un idea di investitori europei.
in pratica è un edicola virtuale alimentata da 20.000 e passa feed rss di tanti blog di qualità scelti dai nostri documentalisti. (tra cui il tuo)
i visitatori di wikio quando cercano: politica, cinema, teatro o iPhone avranno le notizie in provenienza dai media classici(corriere, repubblica la stampa etc) e dai blog".

Ebbene sì: nonostante cerchi di starci attento, anche io a volte scrivo castronerie! L'importante è rimediare prima che sia troppo tardi! Se ne trovate altre..avvisatemi!

mercoledì 23 gennaio 2008

Momento di stacco...

Stavo diventando troppo serio...



Dedicato a tutti quelli che si ritrovano la sera ad aspettare davanti ad un cancello, e non capiscono mai come ci sono finiti...ma nonstante tutto, finiscono per sbatterci contro tutte le volte che possono.

Perchè mi sento fortunato.

Perchè comunque mi reputo fortunato a scrivere da dove scrivo e poter fare quello che sto facendo.


E per non dimenticare che la stampa ancora troppo spesso nel mondo viene colpita, per uccidere la libertà che essa rappresenta.

I finanziamenti pubblici all'editoria: una piccola guida per capire (e andare al di là degli urli di Beppe Grillo).

Complice il nuovo V-Day lanciato da Beppe Grillo per il prossimo 25 aprile, stavolta per combattere "l'informazione corrotta" (e non mi addentro nei dettagli), sta tornando d'attualità un argomento da sempre scottante nel panorama italiano: quello dei finanziamenti pubblici all'editoria.

In libreria i testi sull'argomento crescono come funghi dopo la pioggia, e nei blog e nella rete il dibattito si fa sempre più forte, di solito con un solo interrogativo: "Quando li aboliamo?".

Dalle inchieste della Gabanelli ai libri di Gomez, Travaglio, Stella e tutti quelli che mi dimenticherò di citare emerge infatti più prepotentemente di tutto il resto solo la realtà di un sistema andato completamente o quasi in malora, con finanziamenti dati a chi non ne avrebbe bisogno e potenti di ogni genere pronti ad ogni mistificazione pur di ottenere il proprio "soldino".

Questo però spesso fa dimenticare una cosa fondamentale: perchè i contributi all'editoria sono stati creati? A cosa dovevano servire, prima della loro corruzione in inutili elargizioni?

Ho trovato sul web, sul sito di Megachip, un articolo a firma di Marco Niro che voglio condividere con voi. Il titolo? "Quel pasticciaccio brutto dei contributi all'editoria". Dentro è spiegato tutto: leggetelo...
E magari la prossima volta che sentirete parlare qualcuno di questo tema, potrete rendervi conto di quante cazzate si sentano a volte, purtroppo non solo su questo...

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"Quel pasticciaccio brutto dei contributi all'editoria". (Marco Niro, Megachip. Qui il link all'originale)

La civiltà di un Paese si può valutare anche guardando ai contributi che esso stanzia per il pluralismo della propria informazione? Se così fosse, dovremmo avere un'opinione piuttosto bassa della civiltà dell'Italia. Quella dei contributi all'editoria è una pratica che è passata, negli ultimi anni, dalla oscura nebulosa che l'avvolgeva fittamente, rendendola ignota prima ancora che incompresa, a un diffuso sentimento pubblico di condanna dal sapore spesso qualunquistico, che non ha d'altra parte aiutato ad aumentarne la comprensione.

Il Paese dell'Informazione

Facciamo un esempio terra terra, per permettere a tutti di capire meglio di cosa stiamo parlando. Immaginiamo di vivere nel Paese dell'Informazione, dove esistono 10 imprese private che fanno informazione, 3 tv e 7 giornali. Queste 10 imprese operano in condizioni di mercato del tutto libero, e vivono esclusivamente delle vendite: di pubblicità e, per i giornali, delle copie.

Gli inserzionisti pubblicitari, che guardano al portafoglio, decidono di investire tutti i loro soldi in televisione, perché il pubblico guarda quella e legge poco. I 7 giornali protestano duramente, dicendo che così li si costringe a chiudere, con perdita di pluralismo (e lesione del dettato costituzionale).

Segue quindi il primo intervento del legislatore a correggere il mercato editoriale: per legge, almeno un quarto degli investimenti pubblicitari dovrà finire alla stampa. Ma anche così i 7 giornali arrancano, stremati dalla concorrenza televisiva. Cinque di loro trovano subito la soluzione: diventare attraenti, come la televisione, o quasi. Inseguirla a colpi di informazione spettacolarizzata, gridata, intrisa di gossip e di gadgets. Diminuisce la qualità dell'informazione, ma aumentano i lettori, e i bilanci tornano a quadrare, anzi diventano floridi, per la gioia degli editori.

E gli altri 2 giornali? No, quelli hanno deciso di non compromettere la qualità della loro informazione, e di continuare a privilegiare l'approfondimento e l'inchiesta, per quanto meno attraenti per il pubblico, che infatti diminuisce, e con esso gli investimenti pubblicitari. I bilanci iniziano ad avere buchi enormi e allora i 2 giornali decidono di farsi sentire, perché la loro chiusura significherebbe perdita di pluralismo (e lesione del dettato costituzionale).

Ed ecco il secondo intervento del legislatore a correggere il mercato editoriale. I 2 giornali hanno ragione, meritano un finanziamento pubblico. Cioè, meritano che la collettività decida di contribuire alla loro esistenza come si contribuisce all'esistenza del trasporto pubblico o del servizio di approvvigionamento di acqua nelle case. In altre parole, meritano tutela in nome della massima di Victor Hugo: “Non essere ascoltati non è un buon motivo per tacere”.

Un bene per il pluralismo

Il finanziamento all'editoria nasce dunque dall'esigenza di finanziare chi decide di non trattare l'informazione come una merce al pari delle altre, per permettere anche a tali soggetti di farsi udire. Il finanziamento pubblico all'editoria, quindi, di per sé, non è qualcosa di negativo. Tutt'altro. Senza di esso, rimarrebbero udibili solo le voci di chi confeziona un'informazione attraente, dipendente dagli imperativi del mercato, non importa se di qualità o meno.

Peccato che interventi come quello di Milena Gabanelli, che al tema ha dedicato una puntata di “Report” nel 2006, e di Beppe Lopez, che invece nel 2007 vi ha scritto un libro (“La casta dei giornali”, Stampa Alternativa), nella foga di condannare l'attuale regime di finanziamento pubblico all'editoria, abbiano finito col gettare via il bambino con l'acqua sporca, o almeno con l'indurre gli spettatori e i lettori a farlo: l'impressione ricavabile e ricavata dai più è stata: “è una porcheria, meglio abolirlo”. Le loro documentate inchieste sulle storture del sistema, infatti, non sono purtroppo state precedute da una premessa a nostro avviso essenziale e doverosa: il finanziamento pubblico all'editoria (se erogato correttamente) garantisce il pluralismo.

La domanda chiave non è dunque “finanziare o no l'editoria?”, ma “chi finanziare?”.

La risposta sembrerebbe piuttosto semplice. Siccome io legislatore ti finanzio perché tu non vuoi, per scelta, mercificare la tua informazione, ti chiederò di rinunciare alla possibilità di ricavare utili dalla stessa. E siccome chi non vuole fare utili con l'informazione in genere non trova un editore disposto a stipendiarlo, io legislatore finanzierò solo i giornali di proprietà dei giornalisti che li scrivono, ovvero le cooperative di giornalisti (i cui soci siano tutti giornalisti e che associno almeno la metà dei giornalisti dipendenti). Inoltre, io legislatore mi accerterò di due cose: primo, che i tuoi ricavi pubblicitari non superino una determinata percentuale dei tuoi costi (bisogna infatti scegliere: o ci si fa finanziare dalla pubblicità o dalla collettività); secondo: che tu abbia davvero un pubblico, per quanto ristretto, perché non voglio finanziare “giornali fantasma”, che non vengano acquistati e letti da nessuno: ovvero, mi accerterò che almeno una parte delle copie da te stampate sia effettivamente acquistata a un prezzo di mercato (non simbolico!): poniamo una copia su quattro.

Tutto qui. E invece, cosa è accaduto? Che, anziché scrivere una norma di questo genere, semplice e stringata, il legislatore abbia prodotto, negli ultimi venticinque anni, un coacervo di leggi, leggine, codici e codicilli - sovrapponibili, incastrabili e scomponibili – che han reso la materia disorganica e incomprensibile, talvolta persino agli stessi addetti ai lavori. Questo caos ha portato con sé, in taluni casi, un allargamento eccessivo delle maglie, che ha ammesso al finanziamento anche chi non lo meritava, e in certi altri casi una loro assurda restrizione, che ha tagliato fuori chi ne aveva davvero bisogno. Facciamo alcuni esempi concreti, per capirci.

Maglie sciaguratamente larghe

Il legislatore ha ammesso al contributo non solo le testate edite da cooperative giornalistiche, ma anche quelle possedute a maggioranza da cooperative, fondazioni o enti morali non aventi scopo di lucro. Conseguenza? Possono avvalersi del contributo anche Avvenire , quotidiano della potente Conferenza Episcopale Italiana, che giuridicamente è una fondazione e si “merita” 6 milioni di euro di contributo (questa e le seguenti somme si riferiscono all'anno 2003), e ItaliaOggi , quotidiano della ClassEditori, gruppo quotato in Borsa, ma formalmente posseduto al 50,1% dalla coop Coitalia, che si ingoia 5 milioni di contributo. Bisognosi? Non diremmo…

Come non sono certo bisognosi i grandi gruppi editoriali che però incassano pure loro ingenti contributi. La legge, infatti, li prevedeva per la carta (fino al 2005), e li prevede per le spese telefoniche e postali. Tali finanziamenti sono erogati “a pioggia” (si parla di contributi indiretti): cioè, ne ha diritto chiunque, al di là di assetti societari e bilanci. Così, il 70% dei fondi pubblici destinati all'editoria (circa 450 milioni l'anno sui complessivi 700 erogati) se ne va nelle casse di grandi gruppi “for profit” come “Editoriale-L'Espresso” e “RCS”. Precisamente, oltre 23 milioni di euro vanno al Corriere della Sera , quasi 20 a Il Sole-24 Ore, oltre 16 a la Repubblica .

Il legislatore ha poi ammesso a contributo anche i giornali di partito. Giusto? Sbagliato? Evitiamo di addentrarci nella risposta (che presupporrebbe un ragionamento più ampio sul finanziamento pubblico ai partiti), limitandoci a rilevare le falle del finanziamento a questa categoria di giornali.

Per ricevere il contributo, il giornale di partito, oggi, deve legarsi a un gruppo parlamentare. Ma ricordiamo che il legislatore ha dissennatamente permesso, fino all'anno 2000, che il contributo finisse anche a quelle testate organi di movimenti politici sostenuti anche solo da due parlamentari italiani. Conseguenza? Si è verificata la moltiplicazione dei “movimenti politici”, esistenti solo nella fantasia di chi ne ha trovato i nomi, spesso davvero pittoreschi. Così, sostanziosi contributi sono finiti a rimpinguare le casse di quotidiani come Il Foglio , organo del movimento politico “Convenzione per la Giustizia” (3,5 milioni di euro di contributo) o Libero , organo del “Movimento Monarchico Italiano” (oltre 5 milioni di euro). Nel 2000, lo scandalo si chiudeva… “all'italiana”: la norma veniva abrogata, ma le testate che avevano già ricevuto contributi in quanto organi di movimenti politici avrebbero potuto continuare a riceverli trasformandosi in cooperative. Tutte più o meno fasulle, e per nulla giornalistiche, ovviamente.

Va poi rilevata la disparità di trattamento oggi esistente tra i giornali di partito e i giornali editi da cooperative, in relazione al requisito delle vendite. I giornali editi dalle cooperative devono vendere almeno il 25% delle copie stampate se testate nazionali e almeno il 40% se locali. Invece i quotidiani di partito non sono sottoposti a questo vincolo, e potrebbero, per assurdo, anche regalare tutte le copie che stampano. E questo nonostante parte del contributo sia erogato proprio in base alla tiratura! Risultato? L'Unità , giornale dei DS, vende 60.000 copie, ma ne stampa più del doppio, per arrivare ad assicurarsi oltre 6 milioni di euro di contributo. Ancora più eclatante il caso di Europa , giornale della Margherita, che vende poche migliaia di copie, ma ne stampa 30.000, arrivando a incassare oltre 3 milioni di euro.

E che dire proprio del requisito imposto alle cooperative di vendere almeno una copia su quattro di quelle stampate? Questo vincolo oggi può essere (e viene) aggirato allegramente: basta vendere sottocosto. Così, ad esempio, l'Opinione delle Libertà , già organo del “Movimento delle Libertà per le garanzie e i diritti civili”, tira 30.000 copie e, per vendere le 7.500 necessarie a papparsi il contributo di 1 milione e 700.000 euro, le piazza sottocosto, a 10 centesimi l'una. Oppure, si esce in abbinamento a testate realmente vendute in edicola, facendo il cosiddetto “panino”: con questo sistema, i quotidiani locali del gruppo Ciarrapico ( Ciociaria Oggi , Latina Oggi e Oggi Nuovo Molise ), che escono in abbinamento con Il Giornale , riescono a garantirsi contributi compresi fra i 2 e i 2,5 milioni di euro.

Maglie sciaguratamente strette

Fin qui, le critiche alle maglie larghe della legge, quelle denunciate da Gabanelli, Lopez e molti altri in questi ultimi tempi. Ma raramente, accanto alla critica alle maglie larghe, si è affiancata l'altrettanto doverosa critica alle restrizioni inserite senza apparente ragione e con grave danno proprio per chi del contributo avrebbe più bisogno.

Partiamo dall'assurdità più grande: per ricevere il contributo, la cooperativa giornalistica deve editare la testata da almeno 5 anni. Non si vede quale cooperativa possa fondare un giornale e tenerlo in vita per 5 anni senza alcun sostegno, con la prospettiva di ricevere, se tutto va bene, alla fine del settimo anno i contributi relativi al sesto anno di vita. Questa norma non è altro che un modo per escludere dall'accesso al contributo tutti i nuovi soggetti. E, assurdità nell'assurdità, se cambi periodicità, riparti da zero. Ovvero, ipotizzando che un quindicinale che già percepisca i contributi voglia diventare mensile (anche per ridurre i costi), dovrà lasciar passare 5 anni per poterli ricevere nuovamente. Dovrebbe invece accadere il contrario. E' proprio all'inizio del percorso che una cooperativa giornalistica dovrebbe poter beneficiare del contributo più cospicuo, che poi potrebbe anche ridursi progressivamente, una volta trascorso il periodo iniziale di 5 anni necessario al rodaggio.

Altra assurdità: per ricevere il contributo, è necessario far certificare il bilancio da una società di revisione iscritta all'apposito elenco della Consob. Se per una testata nazionale questo implica una spesa relativamente bassa, per una testata locale può comportarne una insostenibile.

Dovrebbe esserci una differenza (che non c'è) tra il regime contributivo per le piccole cooperative, locali, e quello per le grandi, nazionali, che tirano più copie e fatturano di più. Questo è ancora più vero se si pensa a un ulteriore requisito che verrebbe introdotto dalla nuova disciplina in materia di contributi all'editoria, da mesi ferma in Parlamento in attesa di essere approvata: si tratta dell'obbligo di avere alle proprie dipendenze almeno 5 giornalisti se testate quotidiane e 3 se testate periodiche. La ragione per cui si è pensato di introdurre questo requisito è di per sé valida: si vuole evitare che il contributo finisca a giornali di poche pagine fatti da redazioni “inesistenti”, farcite di precari e di giornalisti prestanome. Ma è evidente che, se per una grande testata il costo di 5 (o 3) giornalisti non è solo sostenibile ma necessario a confezionare un buon prodotto, per una piccola, magari locale (appunto), sarebbe insostenibile e anche superfluo. Per evitare di finanziare le “redazioni fantasma”, sarebbe meglio, allora fare come suggerito da Mediacoop (l'Associazione nazionale delle cooperative editoriali), ossia variare il contributo sulla base del numero di giornalisti dipendenti assunti dal giornale: più ce ne sono, più sarà alto.

E che dire, infine, dell'ostacolo rappresentato dall'esistenza degli stessi contributi indiretti di cui beneficiano soprattutto le grandi imprese editoriali “for profit”? Si pensi che ben 270 milioni di euro finiscono ogni anno, a pioggia, nelle casse di oltre 7.000 testate, come contributo alle spese postali. Se, come suggerito sempre da Mediacoop, il diritto a tale contributo venisse concesso solo alle imprese che rinuncino alla distribuzione degli utili, gran parte della somma potrebbe essere risparmiata, e servire, ad esempio, a finanziare i primi 5 anni di vita di una nuova cooperativa giornalistica, come si diceva sopra.