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E' il caso di "Principi Attivi: tre storie di salute ed immigrazione": una piccola inchiesta condotta dagli studenti dell'università di Pavia condotta dalle pagine del loro mensile "Inchiostro" sulla condizione degli immigrati minacciati dall'attuazione del decreto legge che obbligherebbe i medici a denunciare la loro condizione di clandestinità in caso di ricorso alle cure mediche. A me é piaciuta parecchio, e la voglio condividere con voi. Un grazie a Maria Luisa Fonte, Francesco Macca, "Strepto" e "Sporo" (che ne sono autori tutti insieme) per avermi fatto leggere davvero qualcosa di bello. Continuate cosi' ragazzi!
PRINCIPI ATTIVI: TRE STORIE DI SALUTE ED IMMIGRAZIONE
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Forse ci eravamo illusi nell’accusare la Medicina di occuparsi di malattie, più che di malati. Di classificazioni e linee guida, più che di persone. Ci sbagliavamo. Oggi la Medicina si occupa di codici e esenzioni e DRG (Diagnosis-related group), per il contenimento della spesa sanitaria. E si occupa di farmaci, di princìpi attivi più o meno griffati, di dosaggi. Ma dietro diagnosi e prescrizioni continuano ad agitarsi storie, corpi. Dolori. Il tentativo di intaccare il diritto alla salute attraverso i tristemente noti emendamenti leghisti al ddl sicurezza ha risvegliato un po’ le coscienze: medici e personale sanitario stanno facendo sentire la propria voce a favore del diritto alla salute; il nemico naturale è il ddl sicurezza, col reato di clandestinità e le altre perle di cui ora tanto si parla (in ritardo, e troppo spesso strumentalmente).
E allora ecco tre storie, per cui ringrazio un medico che ancora sa occuparsi dei “princìpi attivi” della propria professione, oltre a quelli dei farmaci. Lavora come volontario presso l’Ambulatorio Caritas di Pavia; un posto che, ai tempi del reato di clandestinità e dei medici che si rifiutano di fare le spie, rappresenta un potenziale ricettacolo di malfattori. Sperando che continuino nel loro “crimine”.
INSULINA
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Ma il diabete non è sottile come la burocrazia, malattia tutta italiana; qualcosa K la deve pur fare. E allora si arrabatta alla bell’e meglio, si rivolge ai medici volontari dell’Ambulatorio Caritas e a medici “amici” dell’ospedale: tra dosaggi alchemici ed improvvisati, K riesce a mettere in circolo l’insulina necessaria alla sopravvivenza. Ma il diabete è una malattia seria: oltre alle dosi di insulina, ci vogliono i controlli, i glucometri con le striscette quasi sempre non compatibili, le siringhette da 1ml. Soprattutto, ci vuole continuità terapeutica. Le mancanze si fanno sentire: K soffre diverse punte di iperglicemia, fino al coma diabetico. Poi, il cerotto sulla burocrazia è un nuovo codice, ENI (Europeo Non Iscritto), che permette di riagganciare K alla dovuta serie di controlli, striscette e siringhette.
Restano tanti problemi, il costo dei ticket che il gracchiare di un organetto non riesce a coprire, l’educazione alimentare e la prevenzione delle complicanze… Ma almeno K oggi riesce a sopravvivere su Via della Povertà, col suo diabete e la sua romenità. Domanda: si sarebbe presentato in ospedale ad elemosinare insulina, K, se ci fosse stato il rischio di essere denunciato per il mancato permesso di soggiorno (che è un po’ come avere la peste, nell’Italia della Lega)?
PERMETRINA
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Non si sa cosa faccia S per vivere, né dove passi la notte. La fretta e il divario linguistico son carogne, e allora le prime a balzare agli occhi dei medici sono le macchie: quelle rosse e in rilievo sull’addome, sulle mani, sui polsi. E giorni e giorni a grattarsi, aspettando che passi. Sarà la polvere, sarà un’allergia, sarà. Andiamo dal medico, si sarà detto S. Non ha il permesso di soggiorno, ma perché dovrebbe temere un medico? E i medici volontari per un po’ brancolano nel buio, poi l’illuminazione e un po’ di sano pregiudizio (che in questo caso è un ragionamento di Sanità pubblica): “Scusa, ma dove vive S?” “non si sa” “come non si sa” “bazzica Via della Povertà” “ma vuoi vedere che è scabbia?”.
La scabbia contagia in primo luogo la mente dei medici: tornati a casa, ci si sente uno strano prurito psicologico su tutto il corpo, anche dopo ripetute docce, e viene l’insano rimorso di non aver messo i guanti prima di stringere la mano a S, ogni volta che torna a prendere il tubetto di permetrina da spalmare sulle zone colpite per diverse settimane. L’effetto terapeutico della crema, per S, è nella sensazione di sollievo dato dal tubetto fresco e dalla sua lingua semisolida sulla pelle rossa rovente.
Ora, se S avesse paura di presentarsi ai medici per il farmaco antiscabbia, cosa succederebbe? Rischio di diffusione del temibile Sarcoptes nelle nostre città, nelle nostre linde case? Forse. Soprattutto, S continuerebbe a riempirsi di piccoli bastardi, a grattarsi; i graffi si infetterebbero con bestiacce ancor più piccole e bastarde, i pochi contatti di S lo eviterebbero del tutto… Soprattutto, S continuerebbe a star male e isolato su Via della Povertà. Malato di paura.
DICLOFENAC SODICO
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Servono minuti di dialogo sconclusionato per comprendere che il “cinquantachili” è il sacco di cemento da 50kg che Y stava sollevando; l’ennesimo, ma stavolta qualcosa, nel dorso, non ha retto. Y lavora in uno dei tanti cantieri di Via della Povertà, lo accompagna il collega Buon Samaritano, ancora sporco di calce. La prima diagnosi è di “lombosciatalgia” e l’iniezione di diclofenac sodico calma ben poco il dolore. Dopo la doverosa trafila medica tra codici e codicilli, finalmente gli occhi di un ortopedico fanno calare la sentenza: ernia discale.
Y passerà due mesi a letto, che franeranno sulla sua vita con la perdita di casa & lavoro. E problema diventano i 3€ per il diclofenac, problema è raggiungere la farmacia o l’Ambulatorio per recuperarlo; problema è riuscire a mangiare due volte al giorno, scendere le scale della casa in cui è ospitato; problema è doversi comprare la biancheria pulita per la visita medica, e quella puzza di alcol ai controlli: “Ma bevi?” “sì, vino, la sera” “ma lo sai che ti fa male?” “sì, ma a me serve per sostenermi”. A conti fatti, le calorie di un litro di vino costano meno dell’equivalente in cibo.
Ammalarsi di povertà è come cadere in una trappola; ma se Y, assunto in nero, avesse temuto di presentarsi dal medico piegato a metà, forse avrebbe perso qualcos’altro, oltre a casa & lavoro.
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L'ultima di queste é la spilletta "Io non denuncio" che i medici si appenderanno sul camice per tranquillizzare gli immigrati che a loro si rivolgono per le cure. Un appello a tutti i medici: non denunciate!
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