giovedì 29 ottobre 2009

Spazzatour II : Belle cartoline e amare verità (di Luca De Berardinis)

Dal blog di Luca De Berardinis, "Spazzatour 2: belle cartoline e amare verità": un altra ennesima conferma che l'affaire rifiuti, in Campania, è ben lontano dal risolversi.

Questo articolo è stato realizzato con la collaborazione del Co.Re.Ri. e in particolare di Anna Fava

Scuotono la testa. Cercano di capire quello che hanno di fronte, perché gli sembra incredibile. Di fronte al triste e terribile spettacolo dei rifiuti urbani indifferenziati ammassati a Ferrandelle. Migliaia di tonnellate non differenziate e non trattate lasciate sui piazzali all’aperto fra i gabbiani e le ruspe. O di fronte ai corsi d’acqua dei Regi Lagni, lungo i cui margini vengono sversati quotidianamente tonnellate di rifiuti tossici provenienti dal nord Italia, che le piene portano via fino al mare. Scuotono la testa e parlano tra di loro a bassa voce i giornalisti della stampa estera che hanno partecipato allo “Spazzatour 2”, organizzato dal Co. Re. Ri, il Coordinamento Regionale dei Rifiuti della Campania, che li ha portati in giro per le provincie di Napoli e Caserta a vedere da vicino come il problema rifiuti sia ben lontano dall’essere risolto. Una cartolina quella delle strade di Napoli libera dalla “munnezza” che serve a nascondere sotto un gigantesco tappeto inefficienze e collusioni di una classe dirigente che sulla Campania vuole stendere un velo velenoso di silenzio perché tutto possa continuare come prima, come negli ultimi quarant’anni.

Tossico? Si grazie

L’area che i giornalisti stanno attraversando è una delle più fertili d’Europa. Incastonata tra le zone vulcaniche di Roccamonfina, del Vesuvio e dei Campi Flegrei, vede la presenza di oltre 40mila aziende che rappresentano la spina dorsale dell’economia casertana, con una produzione annua di 34mila tonnellate di mozzarella di bufala, insieme a vini, formaggi, frutta e 3 importanti marchi di acqua minerale. Insomma un vero e proprio “scrigno agricolo d’Europa” che rischia di scomparire a causa dell’inquinamento da rifiuti tossici. Per quarant’anni, infatti, diversi clan, in testa quello dei Casalesi, come raccontato dal pentito di camorra Gaetano Vassallo, hanno sversato migliaia di tonnellate di sostanze tossiche provenienti dalle industrie del nord Italia, ma anche dalla Germania e da altri Paesi europei, industrie che hanno stretto un patto d’acciaio con le mafie per liberarsi dei loro scarti.

Una situazione che si è ulteriormente aggravata da quando è stato dichiarato lo stato di “emergenza” nel 1994. Oggi su questa stessa zona insistono anche numerose discariche “legali”, costruite spesso sopra gli stessi siti di sversamento della camorra: rifiuti urbani mischiati a rifiuti tossici. C’è la discarica di Lo Uttaro, dove in un video il capocantiere dichiara candidamente che la discarica del commissariato è stata costruita sopra una discarica illegale di rifiuti tossici; c’è Ferrandelle, al momento chiusa, in cui sono stati ammassati milioni di tonnellate di rifiuti dell’emergenza 2008; ci sono quelle di San Tammaro, “Maruzzella” 1, 2 e 3, quelle di Villaricca, di Taverna del Re, c’è la discarica di Chiaiano, realizzata su migliaia di tonnellate di amianto scaricate illegalmente, e al momento chiusa a causa di una frana che ne ha fatto crollare le pareti interne; c’è poi l’inceneritore di Acerra, che è stato temporaneamente chiuso per problemi tecnici interni, e che già in fase di collaudo ha prodotto continui superamenti del limite massimo di emissioni nocive. E poi ci sono le discariche del beneventano, con Savignano che straripa percolato nei campi ogni volta che piove, c’è Sant’Arcangelo Trimonte con le sue frane, c’è Macchia Soprana che stilla percolato nell’oasi regionale della Piana del Sele, e tante altre enormi discariche che sebbene chiuse continuano a rilasciare percolato nelle falde acquifere. Percolato che si mischia ai rifiuti tossici sversati fuori e dentro le discariche

Le provincie di Napoli e Caserta sono quelle più colpite, ma in tutta la Campania ci troviamo di fronte ad un disastro ambientale su più livelli: ci sono gli sversamenti di rifiuti tossici avvenuti nel passato su tutto il territorio e mai bonificati, motivo per il quale sono stati rinviati a giudizio il Governatore Antonio Bassolino, l’ex prefetto Alessandro Pansa, e la società Jacorossi. Ci sono le sostanze pericolose che vengono scaricate ancora oggi, come si può vedere sotto i cavalcavia dell’asse mediano, la superstrada che collega tutto l’hinterland partenopeo, o lungo i canali dei Regi Lagni, sostanze pericolose che, mischiate a pneumatici e balle di stracci, vengono spesso date alle fiamme, generando quei roghi che numerose volte sono stati documentati dalla popolazione e da diversi mediattivisti della “terra dei fuochi” (http://www.laterradeifuochi.it/ ). Un disastro continuo in cui i rifiuti urbani si mescolano continuamente coi rifiuti tossici.

Cartoline amare

In uno spot del 2008 realizzato dalla Presidenza del Consiglio, si vedeva una bella ragazza sommersa dai rifiuti che veniva d’improvviso afferrata da tante mani che ripulivano la Piazza del Plebiscito restituendo Napoli alla dignità di grande metropoli. Se però ci si fosse chiesti dove erano andati a finire tutti quei sacchetti, si avrebbe avuto un’amara sorpresa. Infatti il problema dei rifiuti urbani non era stato risolto avviando finalmente quella raccolta differenziata per la quale in passato erano stati stanziati 250 milioni di euro. Solo in tempi recenti a Napoli (la maggiore produttrice di rifiuti della regione) l’azienda pubblica “Asia” aveva tentato di avviare in alcune zone pilota la raccolta differenziata porta a porta, ottenendo una buona risposta da parte degli abitanti anche dei quartieri più degradati, ma senza ricevere gli stanziamenti adeguati a gestire questo tipo di raccolta il progetto non ha potuto proseguire. Infatti l’Asia, dopo dieci anni dalla sua istituzione, è ancora in attesa di un contratto col Comune di Napoli che garantisca continuità e adeguatezza dei fondi. Questo fatto, unito alla mancanza di un’effettiva direzione dell’azienda (attualmente sprovvista di un Direttore generale e di un Direttore del personale), non solo ha arrestato questo promettente principio di raccolta differenziata porta a porta, ma rischia anche di far fallire la stessa azienda pubblica.

Ma se i rifiuti non sono stati differenziati e l’inceneritore di Acerra è fermo, dove è finita l’emergenza? Più semplicemente i rifiuti tal quale sono stati spostati lontano dal centro città, nel cuore delle campagne, parafrasando si potrebbe dire “naso non sente, cuore non duole”. Così mentre il premier Silvio Berlusconi si lasciava andare a dichiarazioni trionfali sulla capacità di affrontare la crisi e spendeva parole di elogio – «i nostri eroi» – per il management di Impregilo, le ruspe spianavano enormi territori agricoli per far posto ai rifiuti, solo poche decine di chilometri più in là.

Nascevano quindi dei veri e propri “mostri” ecologici non attrezzati né messi in sicurezza, come dimostrano i continui straripamenti di percolato, una sostanza tossica prodotta dalla compressione dei rifiuti indifferenziati quando vengono accatastati gli uni sugli altri e spesso mischiata nelle discariche campane a fanghi industriali e altri tipi di rifiuti tossici. Ma la tipologia di rifiuto che si può ammirare a vista d’occhio lungo i venti ettari del “sito di stoccaggio provvisorio” di Ferrandelle, oppure quello di “Maruzzella 3”, che si trova a poche centinaia di metri dal primo, è un’interminabile distesa di rifiuto “tal quale”, ammassato senza alcun criterio e spesso lasciato all’aria aperta, all’appetito dei gabbiani e di altri animali. Ma non è finita. Nella stessa area dovrebbe sorgere l’inceneritore di Santa Maria la Fossa, su cui altre dichiarazioni del pentito Gaetano Vassallo gettano una luce ancor più inquietante: “I Casalesi avevano deciso di realizzare il termovalorizzatore a Santa Maria La Fossa. Cosentino (sottosegretario all’economia e probabile candidato alle prossime elezioni regionali in Campania), mi disse che si era dovuto adeguare alle scelte fatte ed avvantaggiare solo il gruppo Schiavone nella gestione dell’affare”.

Silenzio in aula

Eppure tutto questo si poteva evitare. Se si fosse effettuata la raccolta differenziata, come previsto dal decreto Napolitano del 1998, che prevedeva che il 50% dei rifiuti solidi urbani dovesse essere avviato ad un ciclo virtuoso entro il 2000, forse non avremmo oggi montagne di migliaia di tonnellate di rifiuti che giacciono nelle campagne della Campania. Ma le cose sono andate molto diversamente. Come emerge anche dal processo “Fibe-Impregilo”, cominciato nel maggio del 2008, e che vede imputati gli allora vertici del Commissariato di governo e della società, per i reati di truffa aggravata ai danni dello Stato, falso ideologico ed altri gravi reati. Un processo difficile per la complessità delle questioni affrontate, ma difficile anche perché ai giornalisti è stato impedito di riprendere o registrare le udienze dalla Procura della Repubblica.

Durante il processo, attraverso le testimonianze e le deposizioni del consulente della Procura di Napoli, Paolo Rabitti, che sull’argomento ha scritto il libro “Ecoballe”, è emerso un quadro piuttosto chiaro. Secondo l’accusa, infatti, la Impregilo, e le società collegate Fibe e Fisia, si aggiudicano la gara di appalto per la gestione dei rifiuti non solo con l’offerta tecnologicamente più scarsa, ma con ben chiaro il progetto di non realizzare mai la raccolta differenziata e destinare tutti i rifiuti all’incenerimento.

Indizio di tutto questo la lettera che l’allora presidente dell’Abi, associazione bancaria italiana, Giuseppe Zadra, invia all’ex Presidente della Regione Rastrelli, nella quale chiede che durante la gara d’appalto venga considerata l’importanza dei contributi pubblici Cip6 come garanzia per il prestito accordato all’Impregilo per la costruzione degli impianti. Per rientrare nei costi Zadra proponeva di obbligare i Comuni a conferire a Fibe-Impregilo i loro rifiuti, in modo da poter usufruire di maggiori contributi Cip6. Infatti, contrariamente all’ordinanza Napolitano, il contributo all’incenerimento Cip6 viene esteso all’intero quantitativo di rifiuti prodotti, contrariamente a quanto predisposto dall’ordinanza Napolitano. Tradotto: bisogna trovare un modo perché i finanziamenti delle banche rientrino in maniera sicura grazie ai contributi statali, eliminando di fatto il rischio d’impresa a spese dello Stato e della salute pubblica.

Ecco perché Impregilo, sempre secondo l’accusa, realizza degli impianti di trattamento per i rifiuti, i famosi CDR, che non sarebbero mai stati in grado di effettuare una corretta separazione dei rifiuti, ma erano costruiti per ottenere la maggiore quantità possibile di rifiuti da trasformare in ecoballe. Ma la magistratura sequestra gli impianti e nega la possibilità di bruciare le ecoballe che vengono giudicate non a norma. A questo punto interviene il miracolo: col decreto 90 del maggio 2008 si legalizza la possibilità di bruciare nell’inceneritore non solo le ecoballe non a norma, ma lo stesso tal quale, mentre quello che ovunque è considerato un reato, smaltire rifiuti industriali tra i rifiuti urbani, viene legalizzato a norma di legge. Le stesse discariche diventano siti di interesse strategico nazionale, sorvegliate dall’esercito, in cui è impossibile verificare cosa entri davvero.

La raccolta differenziata non va incrementata, l’inceneritore di Acerra va a rilento, e i rifiuti continuano ad essere prodotti e da qualche parte vanno pure messi, ed ecco il Commissariato muoversi per sequestrare terreni e vecchie discariche ormai chiuse spesso perché messe sotto sequestro dalla magistratura, per “stoccare temporaneamente” rifiuti ed ecoballe.

Solo che poi, dicono i pm, dovevano averci preso gusto ed essersi accorti che il gioco conveniva. Ogni volta che strillavano all’emergenza arrivavano pronti nuovi fondi da Roma. E allora si sono verificati continui guasti negli impianti, problemi nella raccolta e difficoltà nell’individuazione dei siti, per aumentare a dismisura le spese. Un gioco che conveniva anche alla camorra, spesso proprietaria dei suoli, o che attraverso passaggi di mano riusciva ad entrare in possesso dei terreni e a farne lievitare il prezzo pochi giorni prima della vendita al commissariato. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, o meglio di nessuno.

Scomparire

Perché, come abbiamo già detto, si è deciso di spostare tutto nelle campagne, fingendo che il problema sia risolto ed anzi continuando a sversare ed ammassare rifiuti in un territorio già gravemente colpito da anni di sversamenti dei rifiuti tossici provenienti dal Nord. Non si sa se la raccolta differenziata riuscirà finalmente, dopo 15 anni, a partire, o se verrà ancora ostacolata. Non si sa se il processo riuscirà a puntualizzare le responsabilità dei colpevoli, o se la verità storica verrà celata da una prescrizione o da una mezza sentenza. Quello che si capisce, però, è che per il modo in cui tutto questo viene gestito più che far scomparire un problema, si rischia di far sparire un intero territorio e chi lo abita.

Qui sotto il video della Giornata del tour, sempre realizzato dall'amico Luca.



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