venerdì 16 maggio 2008

Ipocrisia e violenza all'ombra delle molotov - Gli attacchi ai campi Rom di Napoli raccontati dal Corriere.

Da Corriere.it di oggi, l'ipocrisia degli italiani ed in conflitti mai risolti nei confronti degli "sporchi rom" italiani.

Il reportage - Le strade dell'odio

IN MOTORINO CON LE MOLOTOV: "E' LA NOSTRA PULIZIA ETNICA".

Le bande di incendiari partono dal fortino dei boss

NAPOLI — All’inizio è soltanto una colonna di fumo, un segnale che nessuno collega allo sciame di motorini che attraversano sparati l’incrocio di via Argine, due ragazzi in sella a ogni scooter.

L’esplosione arriva qualche attimo dopo, sono le bombole del gas custodite in una baracca avvolta dal fuoco. Le fiamme arrivano fino all’estremità dei pali della luce, il fumo diventa una nuvola nera e tossica, gonfia com’è di rifiuti e plastica che stanno bruciando. Le baracche dei Rom di via Malibrand sono un enorme rogo.

Ponticelli, ore 13.30, la resa dei conti con gli «zingari» è definitiva, senza pietà. Il traffico che impazzisce, il suono delle sirene, i camion dei pompieri, carta annerita che volteggia nell’aria, i poliziotti di guardia all’accampamento che si guardano in faccia, perplessi. Loro stavano davanti, quelli con il motorino sono arrivati da dietro. Allargano le braccia, succede, non è poi così grave, tanto i rom se n’erano andati nella notte. «Meglio se c’erano», si rammarica un signore in tuta nera dell’Adidas. «Quelli dovrebbero ammazzarli tutti». Parla dall’abitacolo della sua Punto, in bella evidenza sul cruscotto c’è un santino, «Santa Maria dell’Arco, proteggimi».

Il primo spettacolo, perché ce ne saranno altri, va in scena davanti alla Villa comunale, l’unica oasi verde, con annessa pista ciclabile, di questo quartiere alla periferia orientale di Napoli, dove l’orizzonte è delimitato dalle vecchie case popolari figlie della speculazione edilizia voluta da Achille Lauro. Un uomo brizzolato con un giubbotto di jeans sulle spalle è il più entusiasta. «Chi fatica onestamente può anche restare, ma per gli altri bisogna prendere precauzioni, anche con il fuoco». Il fuoco purifica, bonifica il terreno «da queste merde che non si lavano mai», aggiunge un ragazzo con occhiali a specchio, capelli impomatati, maglietta alla moda con il cuore disegnato sopra, quella prodotta da Vieri e Maldini. Siccome non c’è democrazia e lo Stato non ci protegge, dice, «la pulizia etnica si fa necessaria» e chissà se capisce davvero il significato di quella frase.

Quando si fanno avanti le televisioni, la realtà diventa recita, si imbellisce. Il donnone con la sporta della spesa che un attimo prima batteva le mani e inveiva contro i pompieri — «lasciateli bruciare, altrimenti tornano»—assume di colpo la faccia contrita, Madonna mia che disastro, poveracci, meno male che là dentro non ci stanno le creature. Il ragazzo con gli occhialoni a specchio diventa saggio all’improvviso: «Giusto cacciarli, ma non così». La telecamera si spegne, lui scoppia a ridere. Sotto a un albero dall’altra parte della strada c’è un gruppo di ragazzi che osserva la scena. Guardano tutto e tutti, nessuno li guarda. Sembrano invisibili. I loro scooter sono parcheggiati sul marciapiede. Il capo è un ragazzo con una maglietta nera aderente, i capelli tagliati cortissimi ai lati della testa. Tutti i presenti sanno chi è, ne conoscono con precisione il grado e la parentela. È uno dei nipoti del cugino del «sindaco » di Ponticelli, quel Ciro Sarno che anche dal carcere continua ad essere il signore del quartiere, capo di un clan di camorra che ha fatto del radicamento nel quartiere la sua forza. Quando vede che la confusione è al massimo, fa un cenno agli altri. Si muovono, accendono i motorini. Dieci minuti dopo, dal campo adiacente, quello di fronte ai palazzoni da dodici piani chiamati le Cinque torri, si alza un’altra nuvola di fumo denso e spesso. L’accampamento è delimitato da una massicciata di rifiuti e copertoni. Sono i primi a bruciare, con il fumo che avvolge le case popolari. La claque si sposta, ad appena 200 metri c’è un nuovo incendio da applaudire. I ragazzi in motorino scompaiono.

La radio di una Volante informa che ci sono fiamme anche nei due campi di via Virginia Woolf, al confine con il comune di Cercola. Sul prato bagnato ci sono un paio di rudimentali bombe incendiarie. I rom sono scappati in fretta. Nelle baracche ci sono ancora le pentole sui fornelli, gli zaini dei bambini. All’ingresso di una di queste abitazioni in lamiera e compensato, tenute insieme da una gomma spugnosa, c’è un quadro con cornice che contiene la foto ingrandita di un bimbo sorridente, vestito da Pulcinella. Florin, carnevale 2008, la festa della scuola elementare di Ponticelli. Alle 14.50 comincia a diluviare, una pioggia battente che spegne tutto. «Era meglio finire il lavoro», dice un anziano mentre si ripara sotto ad una tettoia della Villa comunale.

Mezz’ora più tardi, nel rione De Gasperi si vedono molte delle facce giovani che salivano e scendevano dai motorini. È il fortino dei Sarno, un grumo di case cinte da un vecchio muro, con una sola strada per entrare e una per uscire, con vedette che fingono di leggere il giornale su una panchina e invece sono pagate per segnalare chi va e soprattutto chi viene. Ma questa caccia all’uomo non si spiega solo con la camorra. Sarebbe persino consolante, però non è così.

Sotto al cavalcavia della Napoli-Salerno ci sono gli ultimi tre campi Rom ancora abitati. Dai lastroni di cemento dell’autostrada cadono fiotti di acqua marrone sulle baracche, recintate da una serie di pannelli in legno. Un gruppo di donne e ragazzi che abita nelle case più fatiscenti, quelle in via delle Madonnelle, attraversa la piazza e si fa avanti. «Venite fuori che vi ammazziamo», «Abbiamo pronti i bastoni». La polizia si mette in mezzo, un ispettore cerca di far ragionare queste donne furenti. Siete brava gente, dice, la domenica andate in chiesa, e adesso volete buttare per strada dei poveri bambini? «Sììììì» è il coro di risposta.

Dai pannelli divelti si affaccia una ragazza, il capo coperto da un foulard fradicio di pioggia. Trema, di freddo e paura. Quasi per proteggersi, tiene al seno una bambina di pochi mesi. Saluta una delle donne più esagitate, una signora in carne, che indossa un giubbino di pelo grigio. La conosce. «Stanotte partiamo. Per favore, non fateci del male ». La signora ascolta in silenzio. Poi muove un passo verso la rom, e sputa. Sbaglia bersaglio, colpisce in faccia la bambina. L’ispettore, che stava sulla traiettoria dello sputo, incenerisce con lo sguardo la donna. Tutti gli altri applaudono. «Brava, bravissima».

Avanti verso il Medioevo, ognuno con il suo passo.

Marco Imarisio

(Per le foto dei roghi di via Malibran si ringrazia comitatolettieri.wordpress.com)

3 commenti:

Anonimo ha detto...

dopo aver letto questo post,
ti comunico che puoi partecipare di diritto al gioco dell'estate italiana...
qui:
http://guerrillaradio.iobloggo.com/archive.php?eid=1699

Anonimo ha detto...

Ciao, posso dirti che hai ragione solo in piccolissima parte. Non bisogna attuare una politica del terrore e della violenza, ma visto che nessuno fa niente allora bisogna arrangiarsi. Queste dimostrazioni sono frutto di anni di negligenza da parte del governo e da parte dei rom che vivono di espedienti. Vorrei vedere se tu parlassi così dopo che ti sono entrati in casa o dopo che ti hanno scippato. IL tuo sembra un disco gia sentito dipermissivismo che ci ha portato fino a questo punto è proprio questo tipo di politica che ci porta al caos.

Gig ha detto...

Alla vicina sotto casa mia hanno rubato in casa. Si pensa - perchè c'era un accampamento di nomadi lì vicino - che siano stati i rom. A Venezia a mia mamma hanno tentato di rubare il portafoglio dalla borsa, e non ci sono riusciti solo perchè io, che le ero dietro, me ne sono accorto e li ho inseguiti per le calli fino a riprenderlo. Nella metro di Milano ho evitato il borseggio sia a me che ad un'altra ragazza nelle scale mobili, due volte. E te ne potrei citare altre. Ma altrettante fatte da italiani, e da stranieri non certo romeni o rom.

Conosco ciò di cui parli, ma ho visto e sentito anche cose che non so se abbia visto tu. Ho intervistato un venditore ambulante di rose in ospedale perchè ferito ad una gamba da due altri stranieri (africani, pare) che volevano rubargli i 100 euro che riesce a raggranellare il sabato sera, girando tutta la notte e preferendo questo lavoro umile al rubare autoradio. Ho intervistato romeni che non trovano lavoro perchè si ha paura di loro e della loro supposta disonestà, salvo venire accettati nei cantieri edili come lavoratori in nero senza diritto alcuno. Ho intervistato gente che ha paura di noi come tu di loro, ho sentito e conosciuto tra loro gente buona e cattiva, razzista e aperta, ladra e onesta, che messa assieme fa un popolo che ha luci ed ombre proprio come il nostro. Ho visto chi gli ha dato lavoro essere ripagato, proprio per aver dimostrato loro quella fiducia che vogliono guadagnarsi (non tutti, lo ammetto) e dichiararsi affatto pentiti della scelta.

Com'è che ti arrangeresti tu? Cos'è che faresti, mio caro anonimo? Pensi di essere in grado di dividere gli onesti dai ladri, di giudicare chi merita di stare qui e chi no, di trovare un lavoro a chi è venuto per quello o di creare integrazione con le tue barriere?

Hai ragione su una cosa: il governo, come tutti noi, se ne è fregato. Ma nell'Italia di adesso, con l'inflazione che sale, il denaro che non gira, Napoli sommersa dai rifiuti, mafie, camorre e 'ndranghete varie a farla da padrone, di quante cose i governi e tu ed io ce ne siamo fregati? Davvero pensi che siano i rom il maggiore problema? O davvero pensi che se tutti "si arrangiassero" - come suggerisci tu - il caos di cui hai paura non esisterebbe?

Io sinceramente credo di no, e credo che non debbano esistere giustizieri fai-da-te ma solo diritti e regole certe da rispettare ma uguali per tutti.

Comunque, se ripasserai di qua, ti invito a raccontare il tuo nome e la tua storia: mi piacerebbe ascoltarla...

A presto.

Gig:)