E' uscito ieri su Repubblica.it, ma non avevo fatto in tempo a metterlo: lo riporto in versione integrale, così vi potete leggere tutto quanto. L'ennesima inchiesta sul mondo-truffa degli stage e dei contratti co.co.pro. e a progetto... Io personalmente di stage mi ricordo l'ultimo: due mesi all'Agr (Agenzia Giornalistica del Corriere della Sera), uno di quelli che ti "obbligano" a fare per poter conseguire il praticantato giornalistico. Delizie per alcuni versi, perchè certe volte sono l'unica occasione di entrare in redazioni dove altrimenti non potresti mai nemmeno mettere piede (Lavorare al Corriere?!? Magari!!!!) e croce per altri, perchè siccome gli stage sono obbligatori (se vuoi il praticantato devi farlo, e basta) sono le varie aziende a decidere di volte in volta se, come e quanto rimborsarti. Io personalmente fui pagato (per le circa 8 ore al giorno che facevo lì) con un buono pasto da 7 euro per ogni giorno lavorativo, dato in anticipo ad inizio mese e trattenuto da quelli del mese successivo se per qualche motivo facevo assenze. Per pagare casa (ovviamente era a Milano), vitto e vita lì (e non avete idea dei prezzi di Milano...) dovetti lavorare prima due mesi in un supermercato full time (dalle 7 di mattina alle 7 di sera), lavoro che trovai proprio all'ultimo minuto dopo due settimane di ricerca sfrenata in quel di Ravenna. Ancora a volte mi chiedo come avrei fatto se non l'avessi trovato...Comunque: è stata un'esperienza bellissima (a parte per il fatto che trattandosi perlopiù di lavoro per radio non si usciva praticamente mai dalla redazione: tre volte in due mesi!), che mi ha arricchito molto. Redazione fantastica, composta per più di metà da gente giovane, grande disponibilità di mezzi (avevamo praticamente una cabina mixer attrezzata e insonorizzata per uno) e senza dubbio tanta professionalità. Poi, la possibilità di passare dall'intervista all'assessore o politico locale di turno ad intervistare ministri e ambasciatori esteri, nonchè il poter parlare con giornalisti di fama nazionale ed internazionale (ho intervistato tra gli altri Ettore Mò, Maurizio Molinari, il mitico maestro Marcello D'Orta, il colonnello Giuliacci, Ignazio La Russa, Oliviero Toscani, etc...) beh...sinceramente non ha prezzo!!!Ma non è tutto oro quel che luccica! Il tutor per esempio non lo vidi mai (ma quando mettono il direttore come tutor, direi che è inevitabile...), e capitò tante volte che fossimo solo in due in certe ore ( io, stagista pagato a buoni pasto, e un altro in genere con contratto a 3-6-mesi) a tenere tutta la redazione.Le speranze di assunzione svanirono subito quando seppi la distribuzione dei contratti lì dentro: su una sessantina di giornalisti ad avere un contratto a tempo indeterminato erano meno di una decina. Tutti gli altri? Stagisti (eravamo in 5 mentre sono stato lì), contratti a tre o sei mesi, collaborazioni varie. Quando me ne sono andato a Settembre tirava un'aria abbastanza pesante e si parlava di scioperi in vista, ma poi non so come sia finita...
Vabbè, basta divagazioni e vi lascio all'articolo!
Magari la storia dello stage la riprenderò tra un po'...
Se poi volete raccontarmi la vostra storia di stagisti, magari un articolino ci viene fuori...che dite?
GIOVANI NELLA TRAPPOLA DELLO STAGE: QUATTRO LAUREATI SU DIECI SENZA PAGA.Tanti non ricevono alcun rimborso per lavorare anche più di 48 ore a settimana. La gran parte non è inserita in alcun progetto formativo e il 53 per cento è costretto a farne almeno due. Soprattutto nelle piccole imprese. I risultati della nostra indagine insieme a Gipd, dopo l’allarme della Commissione europea sull’abuso dei tirocini, su duemila stagisti e cento imprese. TABELLE: le volte, la retribuzione, il progetto, l’orario, le proposte di lavoro : LA TESTIMONIANZA: Francesco Pedemonte da Genova
di FEDERICO PACE
La gran parte di loro ha meno di ventisei anni, possiede almeno un titolo di laurea, e non riceve neppure un euro per lavorare, o imparare a lavorare, anche fino a 48 ore a settimana. Più della metà degli stagisti ha ripetuto, o è stato costretto a ripetere, l’esperienza più di una volta e, alla fine di quei mesi trascorsi in azienda, un terzo di loro ha dovuto amaramente confessare che lo stage non è servito a nulla. Ma soprattutto, la maggior parte di loro non ha avuto, durante il tirocinio, alcun progetto formativo.
Sono questi alcuni dei risultati della nostra indagine realizzata, insieme all’associazione del personale Gidp, sull'esperienza degli stage dei giovani, che ha coinvolto duemila stagisti e cento imprese, dopo che la Commissione europea ha lanciato l’allarme sull’abuso dello strumento dei tirocini. Dopo che l'istutuzione europea ha annunciato, per l’anno prossimo, l’adozione di una serie di interventi per stimolarne l’uso corretto e virtuoso con l’inquadramento del tirocinante in un adeguato percorso formativo seguito anche dalla presenza di un tutor.
Quella che è, e deve essere, un’opportunità per avvicinarsi al mondo delle aziende, rischia, forse in troppi casi, di diventare una specie di trappola. Lo stage così, come se fosse un panetto di plastilina, prende forme che la discostano dalla natura per cui è stato pensato e promosso.
Ma iniziamo dalla paga. Il quaranta per cento degli stagisti ha dichiarato di non avere ricevuto alcun rimborso mentre un altro dieci per cento ha detto di avere dovuto fare fronte a un rimborso inferiore ai duecento euro al mese. Un altro sette per cento ha ricevuto una somma compresa tra duecento e trecento euro. Pochi invece i fortunati che hanno potuto fare conto, a fine mese, su qualcosa che non avesso solo un carattere simbolico. Il tredici per cento ha ricevuto una cifra compresa tra 500 e settecento euro mentre un altro dodici per cento ha avuto una cifra superiore ai settecento euro (vedi tabella).
Quanto invece al progetto formativo solo il 35 per cento ha dichiarato di averlo avuto e di essere stato seguito da un tutor. A questi si aggiunge un 15 per cento che però, seppure con un progetto, non è stato seguito da alcun tutor. Ma quel che desta allarme è quel 51 per cento che dichiara di non essere stato inserito in alcun progetto formativo (vedi tabella). Ma quali sono le realtà dove si fa un uso distorto dei tirocini? “Come gestore delle risorse umane – ci ha detto Paolo Citterio, presidente associazione direttori risorse umane GIDP/HRDA – vedo troppe malinconiche situazioni specie nelle piccole imprese che ancora non hanno capito né percepito che un laureato può fornire, ad esempio, nell'area del marketing o dello sviluppo della ricerca, un contributo importante ove l'imprenditore, che "sta sul pezzo" anche 12 ore al giorno e non ha il tempo né la cultura per crescere. Queste imprese hanno bisogno, forse non di maggiori controlli punitivi ma di facilitazioni, spiegazioni, indicazioni su come utilizzare al meglio i nostri stagisti laureati”.
Se si guarda alle ore trascorse in azienda ci si accorge che un terzo degli stagisti lavora più di 43 ore a settimana e di questi il dodici per cento arriva a lavorare per più di quarantotto ore (vedi tabella).
Se c’è qualcosa di positivo è di certo il ruolo crescente delle università nell’avvicinamento al mondo del lavoro. L’80 per cento delle imprese dichiara di utilizzare proprio il canale delle facoltà per individuare le risorse da inserire al proprio interno in percorsi di tirocini. “La nostra azienda – ci ha detto Maurizio Villa direttore del personale di Leaf Dolciaria – utilizza ampiamente lo stage con vicendevole soddisfazione attraverso convenzioni fatte con le principali università, tra queste la Cattolica, la Bocconi, il Politecnico, l'università di Parma e altre”.
Ma in quali divisioni vengono inseriti per lo più i giovani? Molti trovano spazio nelle attività legate al marketing (il 21 per cento) e nella divisione dell'amministrazione, controllo e finanza (il 18 per cento). Un altrettanto numero significativo ha la possibilità di entrare nella ricerca e sviluppo e nella produzione.
Alla fine per molti il tirocinio, seppure a un prezzo alto, non è tempo perso. I due terzi dicono che è servito in qualche modo a qualcosa mentre per un 33 per cento è servito a poco o nulla. Per il 31 per cento il tempo trascorso in azienda è stato utile per affinare le competenze mentre il 27 per cento, ne ha approfittato per capire meglio quello che accade in un'impresa. Altri, più concretamente, ritengono che alla fine il tirocinio sia soprattutto servito a inserire nel proprio cv un'esperienza di lavoro.
Quanto all’esito occupazionale, a quasi sei stagisti su dieci non è stato proposto alcun contratto (il 55 per cento), al venti per cento è stata proposta una collaborazione a progetto, al dieci per cento un contratto a tempo determinato e al sei per cento un contratto a tempo indeterminato (vedi tabella). D’altronde il tasso di crescita dell’occupazione è ancora molto esiguo e le aziende si mostrano molto caute. “Oggi l'inserimento in azienda non è affato scontato – ci ha detto Tommaso Raimondi direttore personale e organizzazione di OM Linde - e le aziende sono molto attente ad inserire le persone giuste al posto giusto dopo averne ampiamente valutate le potenzialità. Il considerare lo stage a volta con qualche pregiudizio, ritenendolo in definitivo come una modalità di sfruttamento delle risorse da parte delle imprese senza sicurezza di essere poi assunti, porta inevitabilmente a perdere delle occasioni duplici: colmare il gap di conoscenza rispetto alla realtà aziendale e sicuramente escludere comunque di dischiudersi qualche opportunità di definitivo inserimento”.
TABELLE:
Tutti le volte di uno stage
La retribuzione
Il progetto
L’orario
Le proposte di lavoro ricevute
LA NUOVA INDAGINE: UNDER 30, DAI BANCHI DI SCUOLA AL LAVORO:
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