Ma siamo proprio sicuri che l'idea di Grillo sia così innovativa?
In tanti forse non sanno che già nel 1996 i Radicali Italiani promossero, in omaggio a quello che definivano un vero e proprio progetto politico di carattere generale definito «americano, liberale, libertario e liberista», una serie di riforme costituzionali tramite referendum. Tra le proposte vi erano leggi elettorali maggioritarie omogenee a tutti i livelli, la riforma della giustizia, del fisco, della sanità, ed alcuni cavalli di battaglia storici dei Radicali come l'aborto, l'obiezione di coscienza e la legalizzazione delle droghe leggere.
In origine molti di più, i referendum vennero ridotti poi a sei da una sentenza della Corte Costituzionale e proposti agli italiani alla fine del 1997, dopo una controversa campagna di pubblicizzazione in cui Pannella denunciò più volte l'ostracismo dei maggiori organi di informazione sul tema, arrivando a presentarsi travestito da fantasma in una trasmissione di tribuna referendaria.
I referendum sopravvissuti furono questi sei: "Abolizione dei poteri speciali riservati al Ministro del Tesoro nelle aziende privatizzate", "Abolizione dei limiti per essere ammessi al servizio civile in luogo del servizio militare", "Abolizione della possibilità per il cacciatore di entrate liberamente nel fondo altrui", "Abolizione del sistema di progressione delle carriere dei magistrati", "Abolizione della possibilità per i magistrati di assumere incarichi al di fuori delle loro attività giudiziarie", "Abrogazione della legge che istituisce il Ministero delle politiche agricole", ed infine l' "Abolizione dell’Ordine dei giornalisti".
Nonostante gli appelli a tutte le formazioni politiche che potessero ritenersi interessate dai quesiti, i Radicali rimasero isolati nella mobilitazione precedente al voto e pur ottenendo maggioranze schiaccianti di «si» (circa l' 80%) i referendum non raggiunsero il quorum di partecipanti richiesto, segnando così un arresto al progetto di riforma radicale. Qui sotto, prese da Wikipedia, potete vedere le percentuali del voto che riguardarono quello specifico quesito: l'abolizione dell'Ordine dei giornalisti. votarono quasi 15 milioni di elettori, che non bastarono a raggiungere il quorum ma che decretarono la loro volontà di abolizione con oltre il 65% dei voti.
Ordine dei Giornalisti
Abolizione dell’Ordine dei giornalisti.
totale | percentuale (%) | |||
---|---|---|---|---|
Iscritti alle liste | 49 054 410 | |||
Votanti | 14 735 975 | 30,00 | (su n. elettori) | Quorum non raggiunto |
Voti validi | 12 702 450 | 86,20 | (su n. votanti) | |
Voti nulli o schede bianche | 2 033 525 | 13,80 | (su n. votanti) | |
Astenuti | 34 318 435 | 70,00 | (su n. iscritti) |
Risultati
Voti | % | ||
---|---|---|---|
RISPOSTA AFFERMATIVA | SÌ | 8 322 166 | 65,50% |
RISPOSTA NEGATIVA | NO | 4 380 284 | 34,50% |
bianche/nulle | 2 033 525 | ||
Totale voti validi | 12 702 450 | 100% |
La lettera è del 10 maggio 2007, e la posto qui sotto per farla leggere anche a voi:
Cari colleghi, mi permetto sommessamente di ricordare che la parola Ordine significa riconoscimento giuridico di una professione, nel caso particolare della professione di giornalista. L’Ordine, inoltre, è la deontologia. Nel caso specifico le "regole" fissate dal legislatore sono il perno, come afferma il nostro contratto di lavoro, dell’autonomia dei giornalisti. I Consigli degli Ordini sono per legge i giudici disciplinari e in questo campo fanno la loro parte, certamente con alti e bassi.
Sottolineo l’importanza strategica per una società democratica del nuovo diritto fondamentale dei cittadini all’informazione ("corretta e completa"), costruito dalla Corte costituzionale sulla base dell’articolo 21 della Costituzione e dell’articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (che è legge "italiana" dal 1955). Questo nuovo diritto fondamentale presuppone la presenza e l’attività di giornalisti vincolati a una deontologia specifica e a un giudice disciplinare nonché a un esame di Stato, che ne accerti la preparazione come prevede l’articolo 33 della Costituzione. Le considerazioni sopra esposte consentono di risalire alle ragioni che hanno spinto il Parlamento nel 1963 a tutelare la professione di giornalista. L’eventuale abrogazione della legge n. 69/1963 sull’ordinamento della professione di giornalista comporterà questi rischi:
1) quella dei giornalisti non sarà più una professione intellettuale riconosciuta e tutelata dalla legge.
2) risulterà abolita la deontologia professionale fissata negli articoli 2 e 48 della legge professionale n. 69/1963.
3) senza la legge n. 69/1963, cadrà per giornalisti (ed editori) la norma che impone il rispetto del "segreto professionale sulla fonte delle notizie". Nessuno in futuro darà una notizia ai giornalisti privati dello scudo del segreto professionale.
4) senza legge professionale, direttori e redattori saranno degli impiegati di redazione vincolati soltanto da un articolo (2105) del Codice civile che riguarda gli obblighi di fedeltà verso l’azienda. Il direttore non sarà giuridicamente nelle condizioni di garantire l’autonomia della sua redazione. Oggi, forti delle regole deontologiche calate nella legge, possiamo dire “no” senza rischi di licenziamento. Domani?
5) una volta abolito l’Ordine, scomparirà l’Inpgi. I giornalisti finiranno nel calderone dell’Inps, regalando all’Inps un patrimonio di 2.500 miliardi di vecchie lire (immobili e riserve). Governo e Parlamento devono preoccuparsi di riformare le leggi sugli ordini e sui collegi professionali nonché di tutelare i saperi dei professionisti. La formazione e gli esami per l’accesso devono essere delegati, come vuole la Ue, a un altro soggetto (l’Università) anche per garantire il rispetto del principio costituzionale dell’imparzialità. Non possono essere i professionisti a giudicare chi debba entrare nella cittadella delle professioni. E’ condivisibile, infatti, quella parte del decreto legislativo 300/1999 sul riordino dei ministeri che affida l’accesso alle professioni - e quindi anche della professione di giornalista - all’Università. Oggi deve essere tolto agli editori il potere che hanno dal 1928 di “fare” i giornalisti. I giornalisti devono nascere soltanto in Università.
Non dimentichiamo:
a) che l’Ordine ha cercato di liberalizzare la professione creando 21 scuole (o master) di giornalismo. Scuole e master hanno senso se diventano legalmente l’unica via di accesso;
b) che i suoi minimi tariffari non sono vincolanti (come vuole l’Europa);
c) che l’Europa, con la direttiva 36/2005 (“Zappalà”), ha dato disco verde gli Ordini e ai Collegi italiani.
Quella direttiva e poi il dlgs 30/2006 (“La Loggia”) hanno stabilito che le professioni intellettuali si possono svolgere sia in via autonoma sia in via dipendente. Vogliamo rimanere professionisti e non tornare alla stagione mortificante del “mestiere”. Guardiamo avanti e non sposiamo le aspettative degli editori, che vogliono i giornalisti asserviti ai loro voleri. Senza Ordine, infatti, rimarranno soltanto gli ordini degli editori.
E’ tempo di elezioni (per il rinnovo dei Consigli dell’Ordine) e anche tempo di riformare in maniera incisiva l’Ordine e la professione secondo questi 11 punti:
( ma qui mi fermo, perchè elenca i suoi suggerimenti per cambiare l'ordine che ancora però sono rimasti solo nei suoi pensieri e non nella realtà: per chi vuola continuare l'articolo intero lo trovate sul sito di Franco Abruzzo, cliccando qui.)
Franco Abruzzo
Conclusioni: Secondo me Grillo si prende meriti che non ha, senza nemmeno citare (sarebbe stato carino) il tentativo fallito dei suoi predecessori. Sembra facile adesso il tentativo di cavalcare un'onda, anzi due: quella dell'entusiasmo suscitato dal primo V-Day (che però come era facile immaginare non ha ancora prodotto nulla di concreto...) e quella di un'Italia facile ad adirarsi ora contro tutte quelle che possono essere chiamate caste. Perchè, ad esempio, ora si parla solo di quella dei giornalisti (cosa pure giusta) e non di altre come quella dei notai o degli avvocati? Grillo li ha tenuti da parte per i prossimi 14 V-Day?
Per il resto essendo parte in causa (ora appartengo al "famigerato" ordine, anche se dei benefici su cui Grillo ed altri sparano non ne ho ancora visto mezzo) non mi pronuncio e lascio a voi i commenti. Credo sia giusto non lasciare tutto il potere alle aziende, ma nemmeno delegarlo tutto alle università penso sia la scelta giusta, almeno finchè i master riconosciuti come quello che sto frequentando costeranno dai 10mila euro in su gettando centinaia di giornalisti in un mercato chiuso e senza sbocchi perchè poco o nulla regolamentato.
La riforma dell'Ordine deve per me passare anche e soprattutto per i problemi di stagisti e collaboratori, se no si rischia di avere un ordine fondato su piloni di irrealtà e pressochè fossilizzato come quello attuale.
Dopo di tutta questa piccola storiellina, che ne pensate?
Fatemelo sapere tramite commenti, che sono curioso... :)
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