giovedì 7 gennaio 2010

Marino: vivere sulla strada (e rischiare di morire bruciato) a Venezia

Come Luciano, il clochard di Pavia di cui vi avevo già raccontato nel blog, anche lui ha rischiato di morire bruciato per colpa del gesto insensato di ragazzi ancora ignoti. Come lui, per fortuna, è riuscito a salvarsi. A differenza di Luciano, la sua storia è riuscita anche ad arrivare sui grandi media nazionali, e spero vivamente che questo possa servirgli per rendere la propria vita un po' migliore. Storia di Marino, il clochard 61enne di Venezia (dal sito web de "La Nuova" di Venezia)

Bruciato giaciglio del Clochard: ho temuto per le mie cose"

"Avevo paura che tutto prendesse fuoco e non potevo fare granché. So che potrebbero rifarlo". Intervista a Marino, il senzatetto di 61 anni vittima dell'aggressione di domenica notte: un gruppo di minori ha incendiato il giaciglio dove dorme vicino alla chiesa dei Frari. "Sono un veneziano doc, ex portiere d'albergo. Ora sogno una stanza per me"

«Continuano ad intervistarmi, sono diventato famoso; mi dispiace purtroppo per Venezia, la mia città. La gente mi vuole bene e questo mi basta. Prima un vicino mi ha portato un panettone e mia sorella è passata a salutarmi».

Verso sera Marino, sessantun anni compiuti il 9 dicembre, è tranquillo, dopo una giornata di trambusto. Ricorda l’aggressione subita la scorsa domenica: «Erano le 23,30. Ero sveglio. Ero nella corte in piedi, stavo camminando intorno. Improvvisamente sono arrivati cinque o sei ragazzi, hanno gettato della carta accesa sui cartoni e sono scappati. Non ho ricevuto minacce. Mi sono avvicinato al mio giaciglio e ho tolto le carte e i sacchetti di nylon del supermercato. Un vicino ha visto la scena e ha gridato contro gli aggressori. C’era fumo. Avevo paura che tutto prendesse fuoco e non potevo fare granché. So che potrebbero rifarlo». Marino si ferma, pensa, riprende il racconto: «Adesso vado a fare un giretto, poi come ogni sera farò parole enigmistiche».

Marino si definisce «veneziano doc». La mamma era della Maddalena, sestiere di Cannaregio, il papà dei Biri, sestiere di Castello. Da piccolo ha frequentato la scuola elementare Diedo e la scuola media serale all’istituto Zambler. «Ho due fratelli, Adriano e Graziella, e nipoti». Da giovane Marino abitava in campo Widmann, poi arriva lo sfratto. Il suo primo giaciglio lo allestisce vicino a campo San Polo, poi nel 2002 si trasferisce nella corte privata Badoera, ai Frari. Passa le giornate camminando in città, non usa il vaporetto, raramente supera il ponte della Libertà: «Per trascorrere la giornata talvolta mi reco ai supermercati di Mestre. Molto tempo lo passo facendo parole crociate. Non ho scelto io di fare il barbone. Ora tiro avanti così, ma nella mia vita ho lavorato».

Marino ha esercitato l’attività di fattorino e di portiere di notte all’a lbergo Gabrieli, lungo Riva Sette Martiri: «Mi trovavo davvero bene». Di lui si interessa la sorella: «So che lei ha fatto la domanda in Comune per una casa. Fino ad oggi non ho ricevuto alcuna risposta. Mi è stato offerto di andare in dormitorio. Sono stato ospitato a Casa Betlemme della Caritas, ma là c’è sempre qualcuno che mi dà fastidio. Vorrei una stanzetta tutta per me. Qui fa freddo anche se ho quattro coperte». Cinque anni fa Marino fu sgombrato dal suo giaciglio da personale del Comune, ma dopo tre ore vi ritornò.

Ogni notte Marino continua a preparare il suo giaciglio in calle. Dapprima sistema un cartone, poi sopra vi appoggia una coperta. Si infila un berretto di lana e si copre con altre tre coperte.

Sorride e ripete: «Se però trovo una stanzetta, l’accetto, perché fa freddo». Non solo. Pochi giorni fa nel giaciglio di Marino è arrivata l’acqua alta. «E’ entrata di notte velocemente dal tombino, così ho alzato tutte le mie cose e mi sono infilato gli stivali. Li avevo appena comperati. Li tengo in una valigia. Ogni sera vengono a trovarmi quelli delle cooperative sociali. Mi portano caffè e tè. Magari mi portassero un croissant... Una volta sono arrivati con una coperta».

Il clochard vive rovistando nei bidoni della spazzatura e facendo piccole compere: «Mangio solo di giorno, panini con formaggio e prosciutto; alla sera una cena frugale. Raramente mi concedo una birra. Una volta sono andato a mangiare dalle suore alla Tana, vicino all’Arsenale. Poi non sono più passato. Non chiedo la carità, non mi serve. E’ giusto che la chieda chi non ha nulla. Mensilmente vado a ritirare la pensione, quattrocento euro. I soldi me li gestisce mia sorella Graziella che abita vicino al ponte delle Guglie». Conclude: «Se mi mettete in contatto con qualcuno, accetto una stanza. Mi piace questa città».

di Nadia De Lazzari

1 commento:

bizzo ha detto...

...un'altra triste storia che non giova all'immagine el nostro paese...fortunatamente non è finito come quello di Nettuno