sabato 26 settembre 2009

Storia di Luciano, che vive sotto un ponte

Questo articolo l'avevo scritto per la Provincia Pavese nei dintorni di Ferragosto, ma tuttora non sono in grado di dire se sia stato mai pubblicato o mano. E'ra comunque la ragione per cui avevo scelto di lavorare per loro, appena stabilitomi stabilmente a Pavia.

Avevo scelto di lavorare per la Provincia per poter avere uno spazio dove raccontare queste storie che non fosse solo questo blog, per poterle fare conoscere a più gente possibile. Perchè mi faceva raccapricciare il fatto che un clochard come Luciano, di cui tutti ignoravano l'esistenza, potesse davvero un giorno morire bruciato in una città civile senza che nessuno se ne accorgesse. Senza che nessuno sapesse la sua storia, e sapesse come era arrivato lì. Per fare in modo che nessuno potesse etichettarlo come "un altro miserabile barbone senza nome, che se è sparito è meglio perchè sporcava e basta". Per ridargli il nome a cui aveva diritto

Mi è piaciuto scrivere questa storia anche per far capire alla gente cosa ci sia davvero dietro a queste persone, ed aiutarle nel mio piccolo a non cadere nella solita retorica che oggi va tanto di modo dell'extracomunitario "ladro e problematico", che tanto viene agitata come bandiera da molte formazioni politiche.

Luciano l'ho incontrato per caso mentre cercavo di non farmi vedere dalla polizia dopo un servizio che avevo fatto (ma questa è un'altra storia), ed ha accettato di raccontarmi la sua storia davanti ad un caffè. L'unica cosa che non ha voluto è stata farsi fotografare: aveva paura che chi aveva tentato di dargli fuoco tornasse di nuovo.

Ora sa che non è più solo, perchè sa che se succedesse qualcosa la gente saprebbe perchè. E' una delle cose che mi ha spinto ad abbracciare questo mestiere a volte infame che è quello del giornalista, e che mi spinge nonostante tutto a non mollarlo mai, per quanto difficile possa essere raccogliere e raccontare queste storie.

Ora lo conoscerete anche voi. Perchè uno come Luciano, da qualche parte, una volta nella vita, l'abbiamo visto tutti. Ed ignorato in troppi.

STORIA DI LUCIANO, CHE VIVE SOTTO UN PONTE

Luciano ha rischiato di morire orribilmente bruciato una settimana fa, quando qualcuno ha fatto colare del liquido infiammabile sotto il bordo del cavalcavia della rotonda dei Longobardi da dove vive da tre anni come senzatetto e senza pensarci un attimo gli ha dato fuoco. Se l’è cavata perché a quell’ora era ancora in giro con altri clochard, ma ha visto bruciare le proprie cose senza poter fare niente. Nessuno l’aveva mai notato prima, e nessuno l’ha notato nemmeno dopo quando spente le fiamme si è avvicinato, ha rimesso tutto a posto ed è tornato lì. Invisibile come prima, ma con un po’ più di paura.

Quella di Luciano - all’anagrafe Lucien G., senzatetto rumeno di 41 anni - che ora vive in uno spazio largo un metro dove non c’è copertura da vento e pioggia salvo un misero angolo di cemento bianco è una vita avventurosa che comincia nel 1968 a Sibiu, nella Romania del regime di Ceausescu. Rimane sotto la dittatura fino al 1986, quando a 28 anni scappa in Grecia per tentare fortuna come muratore e dopo un anno giunge in Italia. “Arrivai da clandestino al porto di Ancona con una motonave, viaggiando aggrappato sotto il rimorchio di un tir. Fu durissimo”. Da lì solo lavori saltuari, come muratore o altro, spostandosi sempre più al nord. Rapallo, Genova, Sesto San Giovanni, un mattone dopo l’altro tra sfruttamento e caporalato, in cui per anni guadagna si e no l’equivalente di 20 euro alla settimana. “Spesso – racconta – nemmeno me li davano. Arrivava da mangiare, e mi dicevano di accontentarmi. Promettevano documenti e regolarizzazione, e io gli credevo e speravo”.

E’ così fino al 2000, quando lavorando in un cantiere a Sesto Marelli ha un incidente alla mano che gli cambia la vita. Luciano si taglia una mano con il vetro di una finestra. E’ un taglio profondo, ma essendo clandestino non si fida ad andare in ospedale e lo lascia guarire da sé. La mano però non torna come prima, e per lui anche la vita da muratore si chiude. “Allora - racconta - ho vissuto di quel che trovavo: raccattavo vecchi mobili per 5 euro al giorno, e recuperavo ferro e legno per pochi soldi”. Dorme dove capita, anche nei campi rom milanesi che vanno a fuoco nei tristemente famosi pogrom anti rom. Nell’incendio di un campo perde anche i documenti, che diventano cenere come la baracca in cui viveva. E da lì ancora clandestinità, sempre peggio, sempre più sfruttato da gente che non lo paga più nemmeno in soldi ma soltanto in cibo.

Un pomeriggio di luglio del 2006 prende la bici e scappa da Milano, e pedalando arriva fino a Pavia, e al cavalcavia dove vive ora. “Un paradiso: qui nessuno mi conosceva, e potevo stare in pace”. Per sopravvivere lo aiuta la Caritas, e qualche sacerdote che gli allunga qualche soldo per le piccole croci di legno che gli piace incidere durante il giorno. “Per lavarmi o vado al fiume o alla casa del giovane, dove mi danno anche vestiti e un rasoio per farmi la barba. Ma qualcosa da mangiare me lo offrono sempre anche i ragazzi dell’università, quando passo di lì. A dormire vado nel mio piccolo angolo sotto la strada, dove ho costruito un piccola tenda con le mie cose, e dove nessuno mi disturba”.

Fino alla settimana scorsa, e al fuoco che per poco non lo portava via con sè. Luciano, 41 anni, occhi castani sorridenti e qualche capello bianco, però è felice di quello che ha. Vorrebbe solo un lavoro per poter mandare a casa qualche soldi al padre e ai fratelli che non vede da quando è partito tanti anni fa. Non ha paura che chi ha tentato di dargli fuoco torni di nuovo. “Me la sono cavata – dice - era destino. Spero che nel mio destino ci siano tante altre cose belle, ma intanto credo in quel poco che ho”. Come l’angolo bianco del cavalcavia.

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PS: Luciano oggi cerca lavoro. Ha fatto il muratore, il manovale e tante altre cose. Se qualcuno a Pavia o dintorni è in grado di aiutarlo, mi mandi una mail all'indirizzo che trovate nel profilo di questo blog. E' una brava persona, e credo se lo meriti.

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