giovedì 10 giugno 2010

Lirio, che con la nuova legge sulle intercettazioni sarebbe già morto

L'uomo nella foto si chiama Lirio Abbate. E' un giornalista dell'Ansa di Palermo che fu minacciato di morte dalla mafia per i suoi articoli scomodi e che scampò, proprio grazie ad alcune intercettazioni che parlavano di un attentato da eseguire di lì a poco nei suoi confronti - ad una bomba destinata ad ucciderlo.



Le intercettazioni permisero infatti alla Polizia di mettere il giornalista sotto scorta e di dare il via alle indagini che gli salvarono la vita.

Con la legge bavaglio approvata oggi, come ha giustamente ricordato Claudio Fava (Sinistra Ecologia e Libertà) , Lirio Abbate sarebbe già morto.

Ma magari, con la nuova legge, la prossima volta ce la faranno ad ammazzarlo. O - se non sarà lui - sarà qualcun altro tra le mille persone scomode che ogni giorno tentano di fare qualcosa contro la mafia e contro il crimine.

Se non facciamo nulla ora per fermare questa legge ignobile che mette il bavaglio ad informazione, magistratura e forze dell'Ordine, la colpa di questo - quando succederà - sarà anche un po' nostra.

Non è il momento per essere ignavi. Facciamoci sentire.

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Dall'intervista a Lirio Abbate di Repubblica del 5 settembre 2007:

[...] Dice Lirio che hanno ragione il capo dello Stato e il governo a chiedere che "la società civile" faccia la sua parte contro la mafia. È la parte del problema con cui egli sente di dover fare più dolorosamente i conti, oggi. "È un paradosso. Credi di dover fare in modo accurato il tuo lavoro di cronista per illuminare nell'interesse dell'opinione pubblica, di quella "società civile", gli angoli bui e sporchi del cortile di casa. Poi scopri che sei un ingenuo. Nessuno vuole guardare da quella parte, in quegli angoli - no - preferiscono voltarsi da un'altra parte anche se stai lì a tirargli la giacchetta. E allora perché lo faccio?, ti chiedi. Perché infliggo a chi mi è caro ansia, paura, apprensione e, Dio non voglia, pericoli? Perché, mi chiedo, non ascolti chi ti dice: ma chi te lo fa fare, vattene da qui, vattene subito, non ti accorgi che non vale la pena?".

La voce di Lirio sembra rompersi ora. Percettibilmente, il timbro diventa roco e trattenuto come di chi si sta sforzando di controllare un'emozione che forse è rabbia, forse è avvilimento o forse entrambe le cose. Dopo qualche secondo, Lirio dice finalmente: "Lo sai perché non decido di andarmene? Per onore. Sì, per onore! Non per il mostruoso, folle, ridicolo onore di cui si riempiono la bocca mafiosi deboli con i forti e forti con i più deboli, ma per quell'onore che mi chiede di avere rispetto di me stesso, che mi impedisce di inchinarmi alla forza e alla paura, di scendere a patti con ciò che disprezzo. Quell'onore che molti siciliani hanno dimenticato di coltivare".


Non inchiniamoci. Contro la mafia, e contro le leggi che aiutano mafiosi e criminali a farla franca, una volta di più.

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